Addio al posto fisso? Si comincia a scuola

Per formare i lavoratori "mobili" servono competenze più moderne

Addio al posto fisso? Si comincia a scuola

Quando Mario Monti dice che in futuro più nessuno avrà un posto fisso per tutta la vi­ta ma dovrà sempre cambiare e spostarsi, descrive semplicemente gli Stati Uniti, dove la gen­te vi­ene licenziata e si sposta dalla costa atlanti­ca a quella pacifica, dal gelo dell’Alaska al caldo di Puertorico dovunque ci siano opportunità. E lo stesso avviene nel Commonwealth dove un giovane che non trova lavoro a Liverpool lo tro­va in India o in Sud Africa o in Australia. Questi due sistemi, unificati dalla lingua e dalla cultu­ra, costituiscono un immenso mercato del lavo­ro per i propri membri. Ma l’Italia,invece,è sem­pr­e stata un piccolo Paese con una lingua parla­ta solo dai suoi abitanti. Di conseguenza, milio­ni di italiani sono emigrati come stranieri negli Stati Uniti, in Argentina o in Belgio o in Germa­nia, adattandosi ai lavori più umili. L’unico periodo in cui è stata possibile una mobilità interna è stato quello del boom economico degli anni ’50-60 dove venti milioni di uomini e donne han­­no lasciato la campagna per la città, dimostran­do di non essere certo lenti e pigri.

Con la mondializzazione, teoricamente, il mercato del lavoro è enormemente cresciuto, ma gli italiani non possono e non vogliono più fare lavori dequalificati perché questi sono già coperti da milioni di lavoratori asiatici ed africa­ni. Per lavorare nel mercato globale come im­prenditori occorre fare prodotti originali, in concorrenza con Paesi a bassissimo costo di ma­nodopera. E per affermarsi e fare carriera occor­re conoscere l’inglese in modo perfetto e avere delle competenze teoriche e pratiche che la no­stra scuola, salvo eccezioni, non riesce a dare. Sono poche le scuole tipo quella di Cucina Italia­na Alma, i cui diplomati trovano lavoro dapper­tutto. Per fortuna molti giovani universitari stu­diano all’estero e vi fanno stages, ma sono una minoranza. Se vogliamo muoverci nel mercato mondiale del lavoro dobbiamo fare crescere tut­ti. Io mi sento male quando vedo mille giovani fare un concorso per dieci posti da vigile urba­no, e vorrei che questi stessi ragazzi potessero partecipare anche ai concorsi in Francia, in Ger­mania, negli Usa e mandare i loro curriculum dovunque.

Ma per riuscirci non bastano certo le nostre lauree brevi.

Occorrerebbero grandi scuole tec­niche che concordano i programmi formativi con le imprese nazionali e internazionali con stages e contratti già assicurati. Un sogno? For­se, ma anche una direzione da prendere al più presto.

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