da Milano
Non si dica che con la morte di Ezio Radaelli, 81 anni, patron di vari Sanremo e inventore del Cantagiro, si conclude unepoca. Mica vero, era già morta da tempo lepoca dei Radaelli, dei Ravera, dei Bernardini: magnati della canzonetta nazional-popolare un po filibustieri e un po romantici, attentissimi al business ma non senza una vena sotterranea didealismo, da assecondare solo a patto che non intralciasse il primato del business. Lantitesi dunque ai Nanni Ricordi, ai Franco Crepax, agli Stefano Senardi che di quella tradizione è lultimo erede, pionieri duna imprenditoria musicale ben più focalizzata sui valori autentici e sullamore per la musica in quanto arte, e cultura.
Milanese, ex sindacalista, poi patron di Miss Italia, addetto stampa nel cinema, demiurgo di eventi canori, Radaelli resta nella storia della canzone devasione - quella più autarchica, prima che il mercato cadesse in mano alle multinazionali del disco, snaturandosi e smarrendosi - con la sua figura massiccia, la cordialità furbesca e la candida guasconeria da lombardo di successo.
Nel 58 cooperò alledizione sanremese che laureò il Modugno di Volare, due anni dopo, promosso organizzatore della kermesse, inventò il Votofestival, abbinando le votazioni festivaliere alle estrazioni dellEnalotto, e propiziò la vittoria di Rascel e Dallara con Romantica. Lanno dopo mise insieme la voce arci-italiana di Tajoli e il brio yé-yé di Betty Curtis, trionfatori con Al di là. Nel 69, auspice Radaelli, fu Zingara a fruttare la vittoria a Iva Zanicchi e Bobby Solo, nel 70 lui e Ravera ebbero lidea furbastra daffidare a Celentano e signora Chi non lavora non fa lamore, pamphlettino antisindacale che vinse a mani basse. E nel 71 misero a segno un altro colpaccio, affiancando Nicola di Bari e la giovane Nada in Il cuore è uno zingaro, a conferma ennesima della filosofia radaelliana secondo cui la musica è unarte, ma è anche un genere merceologico, da gestire come tale: e non a caso «quando Sanremo lorganizzavo io le canzoni del festival vendevano milioni di copie», soleva dire.
Verissimo. E un grande successo, dal punto di vista mercantilistico, fu anche il suo Cantagiro, che dal 62 al 70 mise in atto, con ben più pragmatici intendimenti, linvito di Léo Ferré a «portare la musica nelle strade»: il corteo dauto che scarrozzava per lItalia i cantanti più famosi paralizzò il traffico di molte città, scatenò deliri di divismo e comunque sancì anche talenti non effimeri, da Morandi al Paoli di Sapore di sale, a Celentano, a Dalla.
Solo che poi il mercato cambiò: i cantautori e il rock portarono la canzone fuori dalle balere, le multinazionali colonizzarono il nostro mercato con massicce intrusioni di star anglo-americane, e una generazione di promoter adeguatamente esterofili esautorò i vecchi patron. Oggi la sua compagna Graziella dice: «Lo hanno dimenticato tutti».
Quanto a Sanremo, la kermesse scadde, da vetrina essenzialmente musicale, a varietà televisivo con sottofondo di musica. In più, e questa volta vivaddio, la canzone devasione cedette sempre più la ribalta alla musica di contenuto, la popolarità dei Guccini, dei De André, dei De Gregori, dei Battisti surclassò, anche ai vertici dellhit parade, il divismo dei Little Tony o dei Bobby Solo.
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