Roberto Levi se n’è andato, in silenzio, com’era vissuto nei suoi brevi cinquantadue anni. È mancato alla sei e mezzo della sera di martedì, accanto alla moglie Marina, a Bordighera, dove si era trasferito nella speranza di guarire dalla grave forma di affezione respiratoria che lo perseguitava da tempo. E che lo aveva costretto, sul finire dell’anno scorso, ad abbandonare il suo apprezzato Telediario , la rubrica di critica televisiva che teneva su il Giornale dal lontano 1995, dopo aver cominciato la carriera a La Notte . Un compagno di lavoro puntuale e discreto, due doti sempre più rare nello sgomitante e invadente giornalismo di oggi. Aveva il dono dell’ironia, ma non si lasciava prendere dall’impeto provocatorio: insomma non andava mai oltre il buffetto o lo sberleffo verso la vittima di giornata.
Avere una rubrica quotidiana vuol dire inventarsi ogni giorno qualcuno da sbertucciare o da elogiare, mica facile se non si conosce il senso della misura e se non si mettono da parte le simpatie o i rancori personali. Se in quindici anni di professione non si è mai beccato una querela, una ragione ci sarà pure: e non si chiama certo piaggeria. Parola che non era nel vocabolario di un uomo libero.MB