Addio al signore della cucina bergamasca

È morto il patriarca della famiglia Cerea, titolare del celebre ristorante «Da Vittorio»

Paolo Marchi

Un anno fa a fine novembre si spense a Bergamo Gino Veronelli, ora la stessa città ha perso anche il suo ristoratore più famoso, Vittorio Cerea. E purtroppo parliamo proprio della morte agli Ospedali Riuniti, all’età di 69 anni (non dimostrati), di un uomo che con la sua passione e i suoi piatti ha scandito i momenti migliori dell’alta cucina bergamasca. La morte fisica, è bene precisarlo, dopo che a fine estate il suo celebratissimo «Da Vittorio» in viale Papa Giovanni non aveva riaperto i battenti, almeno non nella storica sede cittadina, quella con un uomo di colore in divisa rossa perennemente sulla porta, pronto a parcheggiare l’auto per il cliente che non aveva tempo. E adesso che tutta l’attività si svolge nel relais della Cantalupa, una magione superlusso nel comune di Brusaporto a una decina di chilometri dal capoluogo, molti si chiedono quanto questo trasloco abbia pesato sulla malattia. Se si scrive che è stata la mazzata definitiva si sbaglia di poco. Il suo vero locale era quello in Città Bassa, la Cantalupa era l’indirizzo per banchetti e matrimoni, posto splendido ma sempre un’altra cosa. Nel primo i clienti cadevano dentro, nell’altro bisogna andarci e certe figure della Bergamo bene, use a muoversi a piedi, a fare le cose con comodo, non si sono ancora abituate alla novità.
Due anni fa la proprietà del palazzo aveva posto condizioni per rinnovare l’affitto troppo onerose e solo quando era chiaro che i Cerea se ne sarebbero andati per davvero, dopo un primo annuncio a fine primavera 2004, Bergamo ha capito in pieno cosa avrebbe perso. Una città famosa per la ricchezza della sua tavola, oggi ha solo un’insegna premiata dalla Michelin, davvero tristemente poco.
Vittorio ne aveva sempre avuta una, ma da quando forni e fornelli erano passati al primogenito Enrico (e ai suoi quattro fratelli) la guida rossa ne aveva accesa una seconda, rarissimo caso di figli che fanno meglio dei genitori. I Cerea nel tempo avevano aperto la loro carta al mondo, Adrià non era certo una bestemmia per loro, a patto che la tradizione bergamasca, tanto cara a Vittorio, procedesse di pari passo con il pesce crudo (e per alcuni gamberetti pure pesce vivo, zampettante nel piatto) e i lecca-lecca, il noto e il nuovo, la sicurezza di ricette collaudate allo stupore per ardite combinazioni pensate da Chicco guardando cosa succede fuori dalla sua città.


E al di là del nome di Vittorio sull’insegna (e non del cognome di una famiglia tutta impegnata lì), resta straordinario l’impegno collettivo di due generazioni di Cerea al punto da far pensare che se uno aveva altro per la testa che non fosse riconducibile a cibi, vini o dolci (la pasticceria Cavour in Città Alta è loro) o cambiava idea o cambiava aria.
I funerali di Vittorio Cerea si celebreranno domani nella chiesa delle Grazie, a pochi passi dalla vecchia sede. Non è il ritorno a casa che lui per primo sognava.

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