Addio a Vivianne Di Majo, l’arte moderna come passione

Curava la terza pagina del «Giornale» con Montanelli e vinse «Il Premiolino»

Di corporatura era minuta ma di carattere inversamente proporzionale al fisico. Vivace, decisa, caparbia. Un peperino di donna, bruna, sempre elegantissima nei suoi prediletti tailleur, un viso grazioso e piccante illuminato dagli occhi scuri. Vivianne Di Majo, nata a Milano nel 1936, giornalista, è morta nella sua città il 25 ottobre. Una crisi cardiaca nel sonno. Soltanto ieri la famiglia ha comunicato la sua scomparsa.
Al Giornale, dove rimase fino a quando vi rimase Indro Montanelli, era arrivata al tempo della fondazione, presentata dal critico letterario Giorgio Zampa. Cominciò con una rubrica d’antiquariato. L’arte ce l’aveva nel sangue, ereditata dal padre, appassionato collezionista: Campigli, Carrà, Casorati. Con quei dipinti sotto gli occhi, la giovane Vivianne avrebbe voluto frequentare l’Accademia di Brera ma l’ambiente artistico era ancora visto con sospetto dai genitori di una fanciulla borghese, perciò lei ripiegò su lettere, laureandosi alla Statale di Milano.
Sposata con un noto ricercatore in neurobiologia, collaboratore di Rita Levi Montalcini, Vivianne Di Majo trascorse un periodo negli Stati Uniti e rientrò in Italia a metà degli anni Sessanta. Anni intensi in cui lavorò come critica d’arte e collaborò con notissime gallerie milanesi, dallo «Studio Marconi» a «L’uomo e l’arte», da «Breton» a «Castelli». «L’arte, soprattutto contemporanea, era la sua passione - ricorda la figlia Gaia Varon - mi portava con sé da Marconi, dove trascorrevo lunghe ore guardando Mario Schifano che dipingeva». Contemporaneamente scriveva su periodici d’arte italiani e stranieri e traduceva: da Cosa fanno le teste d’uovo di Noam Chomsky per De Donato a Picasso di Gertude Stein per Adelphi.
Nel 1975 il rapporto con il Giornale, da esterno divenne interno: responsabile della terza pagina, Vivianne Di Majo scriveva di cultura, costume e società. La rubrica settimanale «Eva contro Eva» le valse nel 1985 il riconoscimento giornalistico «Il Premiolino». Ai suoi impegni si aggiunse poi la pagina dedicata ai libri e successivamente l’inserto settimanale «Lettere e Arti». Nel 1994 lasciò il Giornale per seguire a La Voce Indro Montanelli che le affidò la guida della redazione culturale del nuovo quotidiano.

Chiusa La Voce, Vivianne chiuse anche con il giornalismo militante, continuando però a scrivere per varie testate e occupandosi delle associazioni che si dedicano ad alleviare il dolore fisico e psichico: «Una mano alla vita» e «Progetto Itaca». Colpita da vari lutti familiari, Vivianne Di Majo sapeva bene che cos’è il dolore.

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