L’avrà pure indicata a sua figlia come un modello da seguire, in opposizione alla splendida Belen sanremese, ma non si può dire che Bersani ami la ministra Fornero. Il piglio decisionista (e, nel merito, riformista e socialdemocratico) della responsabile del Welfare ha infatti gettato nello scompiglio il quartier generale del Pd, già scosso dall'uscita polemica di Veltroni e dal nascere in Parlamento di un vero e proprio «partito montiano» all’interno del gruppo democrat.
Così, l’incontro che ieri Bersani ha avuto con Monti sulla riforma del mercato del lavoro, sebbene nelle intenzioni della vigilia dovesse servire a rasserenare il clima fra l’esecutivo e la parte sinistra della sua maggioranza, non ha fatto in realtà che sottolineare, e per dir così ufficializzare, la rotta di collisione fra la segreteria del Pd e il governo tecnico. È vero che Bersani ha ribadito l’appoggio a Monti, perché «c’è un patto di lealtà che non verrà meno fino alla fine della legislatura», e si è detto convinto che il presidente del Consiglio «ha capito la nostra posizione», ma è altrettanto vero che lo scontro sull’articolo 18, anziché trovare una mediazione, esce dal vertice più infuocato che mai.
Secondo Bersani, infatti, «rompere il tavolo» della concertazione e procedere - come già annunciato da Fornero - anche senza il consenso preventivo dei sindacati, «vuol dire “liberi tutti”.
E il “liberi tutti” - minaccia Bersani - può essere un problema per l’Italia, non per il Pd, il governo o la Cgil, perché un paese in recessione ha bisogno di coesione». «Liberi tutti» significa che il Pd non voterà per il governo? Era stata di nuovo Fornero, l’altra sera, a dichiarare che non soltanto non è necessario l’accordo con i sindacati, ma non lo è neppure quello con i partiti. Come a dire: sia il Pd ad assumersi in Parlamento le sue responsabilità. La risposta di Bersani sembra accettare la sfida, e rilancia la palla verso palazzo Chigi.
In realtà, però, la pistola del segretario del Pd è una pistola ad acqua. Se per accidente Bersani decidesse di votare contro il governo, otterrebbe all’istante due risultati: una corposa scissione del partito, e la nascita di una nuova maggioranza in Parlamento. Andare all’opposizione, per il Pd, non significa dunque far cadere il governo, ma «regalare Monti a Berlusconi», secondo l’espressione di Veltroni, e tornare a chiudersi nel recinto di Vasto insieme a Vendola e Di Pietro.
Da Largo del Nazareno, del resto, tengono a far sapere che «l’accordo alla fine può anche non riuscire, ma bisogna essere sicuri che ci provino tutti e tutti facciano la propria parte». Insomma, il pressing sul governo sarebbe parte di una trattativa più ampia, e servirebbe al Pd più che altro per non mostrarsi debole e remissivo agli occhi della Cgil. Quando poi il testo arriverà in Parlamento, si troverà una soluzione: «Ora però non possiamo regalare la Cgil a Vendola e Di Pietro», sostengono i bersaniani.
Il fatto è che oggi a guidare la politica del Pd non c’è Bersani, né tantomeno i «Giovani Turchi» che lo attorniano in segreteria, ma la Cgil e la Fiom. La cui linea di intransigente conservazione non riesce ad essere messa seriamente in discussione, figuriamoci combattuta, dal gruppo dirigente del Pd. Eppure è proprio questo il nodo strategico di fronte al quale il partito è destinato a dissolversi: la modernizzazione non conosce santuari, e non si può essere riformisti se ci si ostina a conservare un sistema di garanzie e di privilegi che appartengono al secolo scorso e che oggi beneficiano una minoranza di lavoratori. L’imbarazzo del Pd di fronte alla prossima manifestazione della Fiom è emblematico della confusione che regna in quel partito. Ieri Bersani ha risposto così: «Abbiamo una regola generale: il Pd non aderisce a mobilitazioni se la piattaforma non è compatibile, non partecipiamo a manifestazioni contro il governo Monti».
Quindi? Quindi, ha proseguito, «guarderemo la piattaforma e valuteremo, si tratta di non perdere i rapporti con la società civile e con i soggetti sociali».
Risposta a dir poco evasiva, dal momento che anche i sassi sanno che la Fiom è contro questo governo, e considerato che due autorevolissimi membri della segreteria del Pd, il già-dalemiano Matteo Orfini e il neocomunista Stefano Fassina, hanno entusiasticamente aderito al corteo della Fiom contro il governo. Forse la stagione dei rinvii, dei giochi di parole e dei compromessi verbali si è davvero esaurita.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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