Politica

MA ADESSO DEVONO REMARE TUTTI

Parlando di Dpef ed economia estiva si fa un gran rumore su quello che c’è e si nota poco quello che non c’è. Ci si dimentica infatti che è pressoché sparito quell’indecoroso mercato delle vacche che caratterizzava tutta l’attività del Parlamento da luglio (con l’aperitivo del Documento di programmazione) fino a dicembre (con il banchetto della Finanziaria). Prima della scure di Tremonti sulla procedura di approvazione della legge di spesa, i parlamentari passavano l’estate a preparare gli emendamenti succhiasoldi da infilare nel calderone annuale e luglio era il periodo preferito per la semina. Due anni fa come oggi in queste pagine si potevano già leggere le anticipazioni delle spese insensate del vecchio governo, come ad esempio i miliardi per lo «scalone», che puntualmente finivano nella lista della spesa una volta rientrati dalle vacanze. La Finanziaria triennale inventata dal governo lo scorso anno ha spuntato di molto le unghie dei parlamentari e probabilmente in tanti non se ne erano pienamente resi conto: si spiegano così alcune delle proteste arrivate anche dalle file della maggioranza in questi giorni. È possibile che il nuovo sistema sia eccessivamente dirigista e soggetto ad errori, ma d’altra parte il suk a cui eravamo purtroppo abituati da anni non poteva più continuare. Intanto va registrato qualche cambiamento formale: dall’anno prossimo il Dpef non ci sarà più, sostituito da una più snella «decisione quadro». Anche questa era una commedia che non faceva più ridere nessuno: si scrivevano principi generali e grandi speranze che servivano solo per qualche frase in favore di telecamera, per poi essere velocemente cestinati non appena con la Finanziaria si cominciava a parlare dei soldi veri. Concentriamoci quindi sugli aspetti positivi: il ministro Tremonti ha ripetuto con forza che la situazione italiana è per molti versi migliore rispetto a quella di molti altri Paesi post crisi e quindi le prospettive per l’Italia sono buone. In questa frase c’è una verità ma c’è anche quella che al momento è solo una speranza: la crisi ha agito sulle diverse economie come una safety car in una gara di automobilismo quando accade un incidente, frenando più bruscamente quei Paesi che sembravano più lanciati e allineando tutti verso il basso. Pertanto il fatto che in Spagna sia esplosa la disoccupazione (18% contro 8% da noi), in Germania sia crollato il Pil (previsto a -6,5% nel 2009 contro il -5,2% italiano), in Francia sia tracimato il deficit (7,2% contro il 5,1% italiano) e in Inghilterra stia raddoppiando il debito, per noi che abbiamo mantenuto una nostra aurea mediocrità, rappresenta una comparazione senza dubbio positiva, nessuno però ci assicura che, una volta passata la crisi, le altre economie non ricomincino a correre più di noi. È una partita che deve coinvolgere gli italiani a tutti i livelli: il governo deve continuare a mettere mano alle riforme e alle infrastrutture, anche rischiando le proteste del solito partito del «no», gli imprenditori devono prendere il coraggio a due mani ed investire nelle proprie aziende con un’occasione unica per guadagnare quote di mercato, le banche devono essere lungimiranti e sostenere la piccola impresa che, se aiutata adesso, potrebbe diventare grande domani, i sindacati devono dimostrare responsabilità e non mettersi a remare contro. I segnali di ripresa ormai sono evidenti: molti indici hanno ormai passato il punto di flesso. A questo punto non è proprio il caso di perdersi in questioni localistiche ma va assolutamente colta l’occasione di poter ripartire alla pari con gli altri: bisogna tenere aperte fabbriche, uffici, cantieri e produrre eccellenza.
Avevamo perso un giro, la «safety car» della crisi ci ha rimesso in corsa ma adesso bisogna dimostrare che la nostra competitività è reale.


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