
Qui c’è il rischio di finire nella palude del body shaming, ma invece la premessa è che vogliamo dire proprio il contrario. Perché Andrea Capobianco è tutti noi: uomini di sport specialità divano, che ci esaltiamo e ci maceriamo con il telecomando in mano ogni volta che c’è una sfida in cui è in ballo l’onore della Patria. Capobianco, più di noi, ha il fatto che questo pathos lo vive a bordo campo, e che - di sicuro - conosce la pallacanestro molto ma moto meglio. E’ il nostro “Io” vestito da Ct della nazionale italiana di basket femminile, ed ha portato le sue ragazze dopo 30 anni sul podio d’Europa: nessuno, diciamolo, ci avrebbe creduto.
Eppure Andrea - ci scuserà se passiamo subito all’intimità - è proprio il prototipo del talento più che qualunque e mai qualunquista, anche nel look. Parte in giacca e cravatta, resta quasi subito senza la prima per poi liberarsi della seconda, finendo la partita madido e stropicciato come uno dei milioni di Ct presenti nel Paese. La differenza la fa il risultato: mentre noi stiamo spesso a lamentarci di tutto, lui pensa solo a spronare, cazziare, esaltare le sue giocatrici, spinte da un turbinìo di emozioni quasi paterne per arrivare là dove non avrebbero mai pensato.
E allora, alla fine di un torneo terminato come sempre lottando e meritatamente al terzo posto, la nostra personale medaglia la assegniamo a lui, esaltato e stralunato anche dopo il match stravinto contro la Francia (che, per dire, è vice campione olimpica), e che dopo la partita persa di due punti contro il fortissimo Belgio aveva accolto la sconfitta così: “Voglio ringraziare le ragazze, è stato un bellissimo viaggio”. Quasi un peccato avere solo figli maschi: avessi un femmina e un pallone da basket, gliela affiderei.