Adesso la furia serba contagia gli ultrà italiani

Il paradosso del nostro tempo è che una parte del mondo possa avere bisogno di uno come Ivan Bogdanov. Duemila persone che gli stavano dietro sugli spalti dello stadio di Genova lo guardavano come un trascinatore, non come un folle da tirare già dalla balaustra e zittire. Decine di persone che erano sul campo lo guardavano sdegnate eppure con quella faccia che significa anche: «Ma guarda quello che cosa riesce a fare». Silenzio, mezzi sorrisi, interesse. È il fascino oscuro e tragico (...)
(...) di un violento capace da solo di tenere sotto scacco uno stadio, una città, un Paese. Nessuno ha il coraggio di dirlo, per pudore e per decenza, però Bogdanov e la sua follia, Bogdanov e la sua violenza, Bogdanov e i suoi tatuaggi affascinano, attirano, intrigano. Possibile? Possibile. In un mondo a caccia di simboli e di miti da creare, anche uno sbagliato come l’ultrà serbo finisce per diventare un’icona. Uno da salvare, perché in fondo almeno lui ha degli ideali. Ideali da film dell’orrore e da storia già ampiamente sconfitta, pensieri confusi del figlio di una regione complicata e che la sua gente complica ancora di più. Ivan è uno instabile che, dopo aver fatto quello che tutti hanno visto, dice così: «Mi dispiace per l’Italia. Vi chiedo scusa. Ce l’avevo con la mia Federazione. Sono uno qualunque, non mi aspettavo tanto clamore. La situazione mi è sfuggita di mano: nelle ore precedenti avevo bevuto molto. Non mi aspettavo addirittura che la partita sarebbe stata sospesa e che ci sarebbero stati problemi tra la Serbia e l’Italia». Ci crede o parla così solo perché l’avvocato glielo impone? Certo uno che terrorizza tutti, minaccia poliziotti e calciatori, lancia fumogeni, scatena l’inferno, trascina nel delirio del caos duemila persone e poi per paura si nasconde nel bagagliaio del pullman, non è molto coerente. Oppure è troppo furbo.
Piace, però. Incredibile, ma piace. È la seduzione del male, il carisma nero. È tutto quello che sembra impossibile e invece accade. Due giorni dopo la notte di Italia-Serbia succede che su Facebook compare il gruppo «Liberate Ivan» e qualcuno sotto spiega così: «Patriota... martire del libero pensiero contro le potenze pluto-democratiche false e imperialiste». Dici che tanto su Facebook c’è di tutto, ma forse conviene non minimizzare troppo. Perché anche la rete può non significare nulla e contenere qualunque delirio, però al tempo stesso può essere il detonatore di qualunque pulsione e qualunque attrazione fatale. Contemporaneamente il giornale italiano Rinascita - quotidiano di sinistra nazionale lo ritrae sulla balaustra dello stadio di Genova e titola così: «Rivendicano il Kosovo e li chiamano criminali». Poi ragiona: «Nelle democrazie omologate lo stadio è l’unico residuo spazio di libera espressione. Ma chi lo occupa è un facinoroso». Anche qui dici: ma non è Rinascita, lo storico giornale dei comunisti italiani, è un altro foglio con nome praticamente identico. Però l’hanno scritto e quindi ci credono. Anche fossero in due, in tre, in dieci, significherebbe che comunque c’è chi considera Ivan un povero ragazzo figlio di una società malata che vuole semplicemente manifestare il proprio disagio.
C’è comprensione, c’è considerazione. Ciò che per la gran parte di noi è inconcepibile per qualcuno è possibile. Perché c’è un disperato bisogno di personaggi a cui aggrapparsi, belli o brutti, intelligenti o stolti, civili o incivili, pacifici o violenti che siano. Ivan che diventa un uomo a cui guardare con interesse. È già successo con gli assassini rei confessi, come il mostro del Circeo, Angelo Izzo; con le presunte assassine, come Amanda Knox; con i banditi, come Renato Vallanzasca. Ivan non è italiano, ma assomiglia a loro. Non per quello che ha fatto, ma per come ha reagito il mondo nei suoi confronti: criticato da molti e salvato da pochissimi. Quelli che però alimentano il mito nero delle persone sbagliate. Quelli che riescono a trovare qualcosa di buono anche in chi buono non lo sembra mai. Quelli che a volte riescono a farsi sentire più degli altri. Ivan Bogdanov è la cattiveria, la brutalità, il terrore, tutto visto con i nostri occhi, in diretta e in mondovisione. Non si può essere affascinati da uno così, ma poi puntualmente succede. Ogni volta ci chiediamo il perché, fino a quando non arriva un altro eroe del male che sostituisce il precedente. Rimaniamo senza risposte e senza idee.

Quelle che qualcuno sostiene appartengano proprio ai miti oscuri che abitano il mondo. Quelle che vengono spacciate a buon mercato per salvare la gente come Ivan. Quelle che diventano il modo migliore per giustificare il male che c’è in ognuno di noi.

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