Una volta tanto i sindacati hanno deciso di scendere in piazza per una «bella» manifestazione. Ieri a Roma Cisl e Uil hanno sfilato portando per le vie della capitale un gran numero di persone (per gli organizzatori oltre centomila) per domandare alla politica l’avvio serio e condiviso di una vera riforma fiscale. Manifestare il sabato, senza bisogno di inutili scioperi-scampagnata del venerdì è già un buon biglietto da visita, e la netta (e voluta) distinzione dalla Cgil e dalla Fiom è un altro passo nella giusta direzione, sottolineata da cori inneggianti all’accordo di Pomigliano «e a qualsiasi patto che porti lavoro e investimenti». Il leader Uil Angeletti commenta soddisfatto la riuscita della manifestazione, sottolineando come sia «la prima volta che i sindacati manifestano per chiedere una riduzione delle tasse», mentre Bonanni ha di certo in mente i recenti attacchi alle sedi Cisl quando afferma che la piazza di ieri rappresenta «uno schiaffo a chi vuol tornare a un passato fatto solo di slogan».
Tutto bene dunque? Quasi. Innanzitutto va registrato l’episodio comico del sostegno dato alla manifestazione dal Pd, nella persona del suo responsabile economico Stefano Fassina. Come possa un dirigente politico che, nel suo sito internet personale, presenta in grande evidenza il proprio libro scritto a quattro mani con il mai dimenticato Vincenzo Visco, appoggiare una manifestazione contro le tasse è un mistero. O si tratta di un omonimo del direttore scientifico dell’associazione «Nens», fondata appunto da Visco e Bersani e attivissima durante il governo Prodi nello sfornare numeri a sostegno della creatività fiscale del viceministro dell’Economia, oppure è solo un altro sintomo dell’inesistenza del Pd come alternativa, specialmente per quanto riguarda la credibilità sul piano fiscale. Viene comunque da domandarsi se la tempistica della «prima manifestazione dei sindacati contro le tasse» non sarebbe stata più azzeccata durante altri governi che, con la scusa della «redistribuzione», provvedevano a spremere ancora di più proprio le tasche dei lavoratori dipendenti, colpevoli del pericoloso reato di «dichiarazione dei redditi veritiera» e quindi ascrivibili al partito dei «ricchi» da spennare. In ogni caso, posto che se si intravedono i sintomi di una ripresa economica, un’azione di stimolo fiscale potrebbe essere di grande aiuto per innescare una spirale virtuosa di ottimismo, il limite della protesta e della proposta di Cisl e Uil sta proprio nel non riuscire a staccarsi del tutto da alcuni stereotipi errati, abilmente congegnati dai fabbricanti di numeri della sinistra ed ancora riversati a dosi massicce dai media.
Quando ad esempio lo stesso Angeletti, ospite a Ballarò, non prova nemmeno a confutare la bugia che il quoziente familiare avvantaggia i «ricchi», fa venire il dubbio di non aver capito: basterebbe infatti ricordare che semmai avvantaggerebbe non i ricchi ma gli onesti che dichiarano tutto il proprio reddito e sono alle prese con una famiglia numerosa, dato che è vero che chi non dichiara nulla non avrebbe vantaggi ma o si tratta di un indigente che già paga aliquote minime (e quindi da aiutare in altro modo) o si tratta di un evasore. L’altro equivoco che fa pensare ad una debolezza di base delle tesi del sindacato è la confusione fra le tassazioni tra i redditi da lavoro e le rendite finanziarie, che dimentica come i risparmi siano somme che vengono da redditi che già sono stati tassati e che trascura che ormai da molti anni le perdite per gli investitori italiani sono state molto più frequenti dei guadagni. Per essere più credibili basterebbe capire che il risparmio è ormai cosa ben diversa da quel «capitale» marxiano contrapposto al lavoro ma che, in un mondo meno assistenziale del passato, dovrebbe rappresentare una parte essenziale della vita e delle risorse dello stesso lavoratore.
Andrebbero anche abbandonati toni da ultimatum che mal si addicono ad una manifestazione che si vuole «responsabile». Dire ad esempio, come ha fatto ieri Bonanni: «Basta parlare di appartamenti e di riforma della giustizia» significa ignorare che le riforme le puoi fare solo se il quadro tiene.
Intimare un ossimorico: «Risposte chiare o la musica cambia. Basta ricatti» è di una comicità forse involontaria ma poco adatta ad un dibattito serio sul fisco, che sarebbe invece opportuno iniziare quanto prima.posta@claudioborghi.com
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