Adesso l’Udc ha paura dell’autogol politico

Fabrizio de Feo

da Roma

Sono almeno tre le fotografie che immortalano gli stati d’animo all’interno dell’Udc alla fine della «contromanifestazione» palermitana. La prima è il brindisi a base di champagne fatto nel retropalco da Pier Ferdinando Casini e Lorenzo Cesa. Calici alzati per brindare alla fine della subalternità e al raggiungimento di una sorta di maggiore età politica, al di fuori dell’ala protettiva di Silvio Berlusconi. La seconda è l’immagine di Totò Cuffaro, fermo sul palco per tre quarti d’ora buoni, impegnato a stringere mani e a ricevere baci dai suoi aficionados, giunti da tutta la Sicilia per creare la cornice giusta allo «strappo di Palermo». Un rapporto personale e diretto con i «suoi» elettori al quale «il presidente» non deroga neppure per un festeggiamento con i leader, nel segno di un rapporto che va al di là delle bandiere e dei simboli di partito. La terza è lo stupore e il malumore di quella parte dell’Udc che si chiede se il leader abbia fatto bene i suoi calcoli e non rischi piuttosto di restare intrappolato nel labirinto del velleitarismo, dichiarando chiusa l’era della Cdl.
«Abbiamo grande amicizia e rispetto per Berlusconi ma noi abbiamo preso una nuova strada» dice Cesa replicando al leader azzurro che ha sollecitato Casini a decidere «in tempi rapidi» se vuole rientrare nel centrodestra. «Il problema non è sacrificare i vitelli grassi né rientrare in chissà quali ranghi. Vogliamo rappresentare il popolo moderato di centrodestra in maniera diversa. Il nostro progetto è quello di realizzare in Italia un grande centro moderato alternativo alla sinistra che intercetti tutti i moderati delusi dal governo. Ormai è chiaro che ci sono due opposizioni e prima se ne prenderà atto meglio sarà per tutti».
Nel partito, però, non tutti la pensano allo stesso modo. Carlo Giovanardi, ad esempio, non ci sta a «celebrare il funerale della Cdl né a mettere in discussione le alleanze in atto in tante regioni d’Italia». «In un partito democratico le scelte di fondo le fa il congresso nazionale, già convocato per la prossima primavera. Non dimentico mai che senza alleati non si vincono le elezioni, a cominciare dagli importanti test di primavera». E sempre su queste scadenze si concentra un altro parlamentare: Emerenzio Barbieri. «A primavera si vota a Parma, Piacenza, Verona e Monza. È immaginabile che il centrodestra non sia unito? Sarebbe un suicidio politico. Se la politica prescinde dai fatti non è politica. Non si può dire né di qua né di là, perché se è così c’è qualcuno che questo lo ha già detto mesi fa: Marco Follini». Chi resta più nell’ombra è Totò Cuffaro, uno che da sempre si impegna a fare da pontiere tra Udc e Forza Italia. La sua posizione non è, ovviamente, identica a quella di Casini. Ma nel giorno dello strappo operato dal segretario meglio non mettere in piazza distinguo e «rettifiche», anche se Pippo Fallica, dirigente siciliano di Fi, lo invita a «scendere in campo per mostrare a Casini la via maestra verso il partito della libertà». Francesco Pionati, senatore Udc, cerca, invece, di suggerire agli alleati che l’Udc «può intercettare gli scontenti di Prodi che non vogliono Berlusconi». Gli alleati, però, non nascondono le loro perplessità. E se l’azzurro Fabrizio Cicchitto sottolinea che «Casini e l’Udc hanno commesso un serio errore politico isolandosi ma l’unità politica dell’opposizione è fondamentale», per Gianfranco Rotondi «l’attesa del Figliol Prodigo non può essere infinita». Gianfranco Fini, infine, cerca di affidarsi alla logica.

«I numeri in politica hanno la loro importanza» e perciò «non credo che Casini correrà da solo alle amministrative». «Il punto è uno: da soli non si va da nessuna parte. Un centro che ha la presunzione di battere la destra e la sinistra non esiste. È nostalgia del passato».

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