Egregio cittì Lippi, finalmente ci siamo capiti. Purtroppo, per tre settimane siamo andati avanti tra incomprensioni ed equivoci. Forse noi italiani di strada non siamo mai riusciti a spiegarci bene, forse da parte sua non c'è mai stata l'effettiva volontà di capire. Abbiamo storto il naso su una squadra che certo andava avanti, ma sempre con l'aria della poverina e della miracolata. Tanto compiacimento per i risultati, tanti imbarazzi per il modo. Qualificarci arrossendo un poco, quasi chiedendo scusa e permesso: questo ci toccava, questo a tanti di noi non piaceva.
Abbiamo cercato in mille modi di spiegarlo, ma evidentemente senza la necessaria chiarezza. Per fortuna, alla fine ci è arrivato da solo. La partita con l'Ucraina, dall'inizio alla fine: ecco che cosa noi s'intendeva. Questo chiedevamo. Una squadra che corra, che lotti, che stia nella metà campo avversaria, che non aspetti un rigore regalato al 94' per raccontare poi quanto siamo eroici. Volevamo una nazionale che arrivasse tra le prime quattro del mondo, magari tra le prime due, magari tra la prima, però a pieno titolo e a testa alta. Con orgoglio. Non volevamo abbassare lo sguardo, non volevamo arrampicarci sui vetri, non volevamo stare a fornire spiegazioni acrobatiche e puerili. Questo, semplicemente questo intendevamo: entrare nel Rotary del calcio mondiale senza che nessuno controlli se abbiamo l'invito. Senza che nessuno, in giro per il pianeta, ci possa guardare come si guardano gli imbucati.
Ovviamente, per tutto questo le dobbiamo un grazie. È un piacere, un enorme piacere dirle grazie. Lei ha scodellato la squadra che tutti intendevamo proprio al momento giusto, quando gli altri cominciano a dare segni di cedimento. Spagnoli e argentini, tanto per dire, avranno un bell'impegno - adesso - per dileggiarci. Provino, dal loro osservatorio di casa, dove anzitempo qualcuno li ha brutalmente rispediti, a definire solo fortunati i Buffon, i Zambrotta, i Cannavaro (parentesi: ma com'è che con giocatori come questi Moggi doveva telefonare agli arbitri?).
Complimenti a lei, egregio cittì. Con una semplice partita, ha zittito noi che non riuscivamo a farci capire, ma soprattutto quelli che ci guardano sempre come pezzenti, opportunisti e malandrini. Adesso l'aspetta un altro compito gravoso, forse il più difficile: tenerci tutti quanti con i piedi per terra. Dalle nostre parti è un esercizio contro natura, data l'atavica abitudine ad esaltarci subito. Dovrà essere bravissimo a convincere la nazionale, e il Paese tutto, di due cose fondamentali: non accontentarci, non montarci la testa.
Poi, già che ci siamo, vediamo una volta di caricarci moralmente senza bisogno di costruirci un nemico. Lasciamo perdere il nostro vittimismo nella guerra degli epiteti, perché è verissimo che i tedeschi sono sgradevoli quando ci danno dei parassiti, ma noi siamo pur sempre quelli che da anni chiamano il loro cittì con l'amabile soprannome di Pantegana. Cerchiamo, per una volta, di essere signori.
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