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Adesso è proprio emergenza difesa

Ridotta in dieci per l’espulsione di Materazzi, la squadra di Lippi resiste e risolve la partita a tempo scaduto con un gol dal dischetto. Facendo dimenticare le strane scelte del ct

nostro inviato

a Kaiserslautern
I canguri, e quel volpone di Hiddink, tornano a casa. Piegati dall’unica stilettata nel fianco patita nella seconda frazione, condotta in superiorità numerica, 11 contro 10 per 40 minuti. Totti, l’uomo del destino, trascina invece l’Italia ad Amburgo, nei quarti di finale, senza procurare grandi brividi né regalare epici duelli. Brevissima la sua rincorsa, da undici metri appena, sul rigore guadagnato da Grosso, al culmine di un minuscolo spicchio di partecipazione, meno di 20 minuti in tutto, sufficienti per indirizzare il viaggio azzurro del mondiale. Brevissima eppure lunga come una pista di decollo quella rincorsa di Francesco: la sua stoccata, potente, angolata, a tempo scaduto, è il sigillo a un’altra sfida cominciata dalla panchina, forse il prologo all’inizio di un’altra avventura in questo mondiale delle grandi attese tradite. Con quel petardo l’Italia dei piccoli e umili eroi riesce a dimenticare gli errori dei singoli e le scelte discutibili del ct, tutto ciò che viene concesso all’Australia, modesto rivale rinchiuso nel recinto dei suoi ridotti mezzi tecnici. E qui bisogna partire dalle mosse del mattino per descriverne l’intreccio e misurare anche l’oro colato del successo conquistato alla fine. A cominciare dalla sorpresa assoluta di Lippi, la fiducia a Del Piero, con Totti in panchina a recuperare preziose energie e la riproposta di Toni, al fianco di Gilardino. Entrambe le scelte del ct sbattono contro gli indizi raccolti da tre settimane a questa parte: lo juventino, senza smalto e senza spunto, giocando esterno d’attacco, può solo limitare il proprio intervento a un paio di lanci ispirati affogando nella difficoltà della ripresa vissuta con uno in meno; il centravanti di Firenze, con un paio di munizioni a disposizione, non rintraccia la strada maestra della porta, una volta s’imbatte nel piede del portiere, una volta tradisce una mira approssimativa.
Nel primo tempo l’Italia di Del Piero, invece di cucire gioco, si concentra nell’occupare gli spazi ed esaurisce il copione d’attacco con una serie di lanci dalla difesa (Cannavaro e Materazzi gli autori) che tolgono alla trama la perfezione geometrica, e anche l’efficacia di talune soluzioni, affidando le chance alla verve del solito Gilardino, il più pericoloso in avanti. Perciò fa specie e non convince la sostituzione decisa all’intervallo: fuori l’unica arma dell’attacco, Gilardino appunto, dentro Iaquinta che di solito serve nelle praterie, per il contropiede classico. A quel punto, inizio della seconda frazione, è Materazzi a dare uno scossone violento alla sfida e a mettere in crisi i suoi. È bene chiarire subito: la sua performance, nel primo tempo, è di eccellente livello. Appena sale la temperatura nervosa, però, scivola su un intervento difensivo di discutibile utilità, in scivolata sulle caviglie di un avversario e di Zambrotta, sul limitar dell’area, senza una esigenza effettiva. È vero, il Bubka di Amburgo potrebbe cavarsela con una semplice ammonizione, il rosso diretto dello spagnolo, come ammette lo stesso Beckenbauer in tribuna, è un castigo eccessivo ma di questi tempi, al mondiale è bene tenere al guinzaglio certi istinti, i parametri rispettati dagli arbitri sono diversi, molto diversi da quelli soliti utilizzati nel nostro campionato. E invece Materazzi, espulso, lascia la nazionale in 10 e a quel punto Lippi deve correre ai ripari. Istantanea e scontata la prima correzione: fuori quel paracarro di Toni, dentro Barzagli, al debutto, eppure lucido ed essenziale nei suoi interventi. Tardiva la seconda: richiamato Del Piero, svuotato, rilanciato Totti, l’ultima speranza, a 15 rintocchi dai titoli di coda.
Qui, nello sviluppo difficoltoso della ripresa, in 10 contro 11, bisogna tessere l’elogio di alcuni esponenti della nota classe operaia, Gattuso e Perrotta per esempio, oltre che la tenuta stagna della difesa azzurra, guidata da quel capitano coraggioso che si chiama Cannavaro, ed esaltata da alcuni interventi di Zambrotta. Dinanzi a quella splendida ciurma, organizzata in modo magistrale, l’Australia esaurisce le poche risorse del suo gioco d’attacco e gli assalti che gli derivano da una lenta marcia di avvicinamento. Con Bresciano che non sfonda da una parte e con Viduka che non conquista duelli in quota, a Buffon tocca intervenire nelle rare incursioni concesse a Chipperfield, l’unico in grado di liberarsi più volte al tiro e da posizione favorevole. È una pena Iaquinta lì davanti, da solo contro i tre canguri risulta un pesce fuor d’acqua: anche questo è un errore, in certi snodi del torneo bisogna fidarsi di gente esperta, come Inzaghi, per esempio. Lippi deve alzarsi più volte dalla panchina per suggerirgli la posizione migliore, il ragazzo appare stordito, sbava persino uno stop elementare davanti ai suoi compagni. Per l’Italia sembra un calvario, il preludio scontato al supplizio dei supplementari e magari anche dei rigori. E invece c’è da fare i conti con Totti e la sua voglia di catturare la scena, di ritagliarsi finalmente una giocata delle sue.
A pochi secondi dal gong, l’istinto o forse l’ispirazione gli suggeriscono di rinculare verso la metà campo. Si guarda intorno alla ricerca di un sodale che abbia voglia di compiere l’ultimo scatto. Trova laggiù Grosso, a sinistra. Il palermitano, fino a quel momento timido e impacciato, sembra spinto da una forza speciale: salta Bresciano e rovina su Neill in area procurandosi l’abbraccio di mezza panchina.

Quel rigore che vale il quarto di finale, è un mezzo regalo dell’arbitro, una specie di risarcimento per il danno provocato a Materazzi. Se siamo ancora qui in Germania, lo dobbiamo a quel ragazzo coi capelli corti che fa il verso del ciuccio dopo aver sfondato la rete dell’Australia.

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