«Adesso tocca agli italiani: comprino le auto prodotte a Pomigliano»

RomaLuigi Angeletti, segretario generale della Uil, il pacchetto di incentivi approvato dal governo soddisfa i sindacati?
«Sono provvedimenti sicuramente utili dal punto di vista del mercato. Serviranno a sostenere l’acquisto di nuove autovetture. Perché è vero quello che si dice e cioè che negli ultimi tempi gli italiani hanno rinviato l’acquisto di autovetture non solo per mancanza di soldi, ma anche per timori sul futuro. Si spera che questi incentivi possano incoraggiarli a cambiare orientamento».
Qualche dubbio, però, lei sembra avercelo...
«Più che dubbio, un augurio».
Quale?
«Che gli italiani acquistino in proporzioni diverse le autovetture prodotte dagli operai italiani. Capisco che da noi questa possa apparire un’affermazione protezionista, ma in Italia il problema è che ogni dieci auto vendute, sette vengono da fuori».
Torniamo agli anni Settanta, quando si invitavano gli italiani a comprare auto italiane?
«Io non ho carichi istituzionali e quindi lo posso fare tranquillamente. Credo sia corretto perché se c’è un modo efficace di tutelare i lavoratori italiani, come quelli di Pomigliano, è comprando le auto che si producono a Pomigliano. Le chiacchiere servono a poco».
Fa lo stesso appello per elettrodomestici e mobili?
«Non c’è bisogno perché la quota di prodotti nazionali in quei mercati è già altissima».
Ha parlato di misure che spingeranno i consumi. Ma l’industria e l’occupazione ne risentiranno positivamente?
«Intanto bisogna ricordare che il governo ha chiesto formalmente alle aziende di garantire la permanenza degli stabilimenti in Italia. E questa era la cosa che a noi premeva più di tutte».
Basterà a non far perdere troppi posti di lavoro?
«Sicuramente il pacchetto di norme avrà un effetto positivo, soprattutto se le scelte dei consumatori andranno verso nella direzione che auspichiamo. Non è un’operazione che serve solo ai consumi, alimenterà un settore che ha un’importanza enorme».
E gli altri settori?
«Ce ne sono alcuni che stiamo sottovalutando, come quello dell’edilizia, che è in crisi. Ce ne accorgeremo più tardi, anche perché sono tutte piccole aziende».
Cos’altro servirebbe?
«Adesso inizierà una corsa alle rivendicazioni. Ogni settore vorrà una qualche forma di aiuto, ma siccome le risorse non sono infinite, io credo che si debba fare scelte razionali e coerenti. Dire dei sì e dei no».
A cosa direbbe sì?
«A incentivare le imprese che investono in risparmio energetico».
Tornando all’occupazione, manca ancora il capitolo degli ammortizzatori sociali. Per sbloccare gli otto miliardi promessi dal governo serve il via libera delle regioni.
«Io penso che le regioni non si possano più sottrarre dal finanziare una parte del costo degli ammortizzatori».
C’è polemica per l’utilizzo dei fondi che sono destinati alla formazione. Lei invece è d’accordo?
«Nessuno pensa di non fare più formazione, ma bisogna utilizzare una parte di quei soldi per sostenere il reddito di chi deve essere formato. Anche perché io non metterei la mano sul fuoco sul fatto che ogni euro in formazione sia realmente efficace. In tempi come questi bisogna fare un uso delle risorse che sia il più possibile mirato».
Pensa vadano riformati gli ammortizzatori sociali?
«Non voglio sollevare polemiche, mi interessa la sostanza. Penso quindi che servano forme di sostegno al reddito che siano finanziate fondi pubblici e che abbiano come obiettivo quello di mantenere il livello occupazionale».
Contratti di solidarietà?
«Sì e anche le riduzioni di orario.

Bisogna inventare forme di sussidio finanziate con soldi pubblici, con l’obiettivo di evitare i licenziamenti. Ognuno fa la sua parte. Alle imprese bisogna chiedere di soprassedere a licenziamenti e di rinnovare i contratti scaduti. Questo almeno per un anno, fino a quando la situazione, come tutti ci auguriamo, migliorerà».

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