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Adriano re dei gol che valgono oro E dal Real arriva la roccia Samuel

Il fenomeno decisivo anche in Coppa Italia. «Questo club è la mia casa, ci rimarrò a lungo». Prende corpo l’Inter del futuro: dopo Solari, da Madrid ecco il centrale in prestito per una stagione

Riccardo Signori

Due gol e passa la paura. È il refrain di successo di Adriano. Due gol, l’anno passato, nell’ultima partita di campionato contro l’Empoli ed ecco l’Inter in Champions league. Due gol, l’altra sera a Roma, ed ecco l’Inter ad un passo dalla coppa Italia che non vince da ventitré anni. Aggiungete la rete segnata al Parma, nella stagione scorsa, servì per giocarsi le speranze finali con l’Empoli. Non dimenticate quella di quest’anno, a Genova contro la Sampdoria, che ha mandato in crisi Novellino e nuovamente garantito all’Inter i preliminari di Champions.
I gol come segno del potere, non solo del successo di questo imperatore calcistico. Quest’anno ne ha segnati 28 (16 in campionato, 10 in Champions, 2 in coppa Italia). Adriano uno, nessuno, centomila, è stato l’atto calcistico teatrale di una stagione intera. Una volta c’era Ronaldo, oggi c’è Adriano, l’uomo che ti trascina a vincere a suon di gol. Quanti ne ha contati Vieri? E quanti sono serviti? «Il fuoriclasse segna quando conta», dice Mancini senza accorgersi dello sgarbo all’amico suo. A Ronaldo è legata l’unica coppa vinta dall’Inter. Ad Adriano potrebbe esserne legata un’altra. Un segno del destino. Adriano bizzoso come Ronaldo, ma quando serve c’è. A Roma ha messo la firma su una stagione: strana, stravagante, contraddittoria, piena di luci e con qualche ombra, straordinariamente trascinante in tutto il 2004, poi in chiaro scuro per sei mesi tra infortuni, che sono stati tre, pochi gol (5) e tante chiacchiere ad uso e consumo di un presunto futuro migliore: voglio il Real, no voglio l’Inter. Voglio vincere, ma con chi vinco? Resto a Milano, ma se non vinco fra un anno me ne vado. E di seguito smentite, incomprensioni, fraintendimenti, trasvolate oceaniche con qualche ritardo di troppo, qualche mugugno interno, un paio di occhiate a muso duro con Mancini, un litigio per essere finito in panchina nel derby di campionato. Ma forse è stata la sua salvezza.
C’è stato un momento in cui fra Adriano e il tifo interista qualcosa si è incrinato. Qualcuno glielo gridò nel sottopassaggio di San Siro. Dopo quel derby perso. «Maledetto brasiliano, vattene al Real». E lui non ha capito. Anzi ha alzato le mani. Per sei mesi è scomparso quel ragazzo tutto Inter e sentimento, duro nel resistere al dolore della morte del padre pur di giocare per la causa in Champions, capace di infischiarsene del fuso orario per entrare in campo e decidere Inter-Udinese. Nel 2005 Adriano è tornato brasiliano nel senso peggiore del termine: poca attenzione alla bilancia, piacere della vita, incapacità a tappar le orecchie davanti a consiglieri che badano solo al soldo. Domenica sera forse è tornato Adriano, quello vero. Spietato killer e ragazzo con il sentimento che piace. Dopo la partita aveva la faccia ingrugnita. «Sono felice perché abbiamo giocato bene, però mi dispiace perché mancherò nel ritorno. Ho baciato la maglia dopo il gol, voglio farlo ancora tante volte. Quando ero in Brasile sono state dette cose che mi hanno fatto arrabbiare. L’Inter è la mia casa, e lo sarà per tanto tempo. Finché non vinciamo resto qui». Ed allora, insieme a Facchetti e Mancini, ha preso il telefono e chiamato Parreira, il ct del Brasile. «Per favore, mi lasci qui anche per la partita di mercoledì». Lo ha detto lui, lo ha ripetuto Facchetti promettendo di rispedirlo, con un aereo privato, in ritiro subito dopo la gara (arbitrata da Trefoloni). Ma quell’altro, testone e poco psicologo, ha richiamato il giocatore al dover patrio. E Adriano ieri mattina (con Karagounis e gli argentini che non sono riusciti a convincere i rispettivi ct) è ripartito, accompagnato dal rimpianto di chi lo vorrebbe vedere con una coppa in mano, ma anche dall’ultimo atto di fede di Moratti. «Dopo una serata così è difficile liberarsi di un potenziale come Adriano, anche se con questa doppietta le sue quotazioni sono aumentate». Detto così potrebbe lasciar il dubbio. Allora lo volevate vendere? Magari per seguir gli umori di Mancini che, quando parla del brasiliano, restituisce solo risposte laconiche, da mal di fegato. Moratti no, ha aggiunto il sorriso di chi scherzava. Dopo la partita, a chi chiedeva: vendete Adriano?, ha risposto secco: «Non se ne parla». Ieri ha aggiunto: «Senza di lui dovremmo ricostruire l’intero attacco». Meglio pensare ad altro. Cassano? «È un affare che non si realizzerà mai. Un giocatore divertente, ma non credo aggiungerebbe niente ad un reparto già ricco. Darebbe più problemi che vantaggi. Si dovrà fare qualcosa in difesa e per gli esterni. Spero di completare la squadra dando una piccola soddisfazione ai tifosi, anche per la loro pazienza». Sempre che la sorpresa non sia un’altra, è in arrivo Samuel, la roccia del Real Madrid, gran difensore della Roma di Capello. L’accordo è stato concluso ieri sera: dopo Solari, arriva il centrale in prestito per un anno. E con possibilità di riscatto da parte dell’Inter per una somma di 22 milioni.
L’estate comincia bene. Con la coppa, con giocatori solidi e con la foto di Adriano sull’almanacco Panini. In maglia nerazzurra per dieci anni.

O fino all’anno prossimo, se l’Inter acchiapperà aria.

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