Matteo Failla
Spesso è inutile ribadire le genialità di coloro che hanno segnato la storia della letteratura, si finirebbe per scriverne aggettivi ormai fin troppo sfruttati, eppure per Le affinità elettive di Goethe si dovrebbe fare una piccola eccezione.
In questi giorni al Teatro Olmetto è in scena la trasposizione teatrale di quello che è stato definito uno dei migliori romanzi dellOttocento, presentato nella drammaturgia di Mara Ferreri e Paolo Giorgi, e con la regia di questultimo, vero talento della Compagnia Quinto Settano.
Il romanzo, composto da Goethe tra il 1808 ed il 1809, prese spunto per il titolo dal «Dizionario di fisica» di Gehler, dove era presente una formula che alludeva a quel particolare fenomeno chimico per il quale due elementi associati, sotto lazione simultanea di altri due elementi con determinate proprietà, si disgregano, associandosi con questultimi in due nuove coppie.
Valeria Barreca, Orlando Cinque, Gerardo Maffei, Dario Merlini e Ginevra Notarbartolo sono sì attori protagonisti sul palco dellOlmetto di una storia che rappresenta la crisi e la disgregazione del sistema sociale dellaristocrazia tedesca ma ne riportano ai nostri giorni il carattere dindagine, in questo caso del presente e dei sentimenti.
È come se nulla, in realtà, fosse cambiato, come se quel ciclo di crisi e di ricerca di razionalità e sentimento non potesse mai esaurirsi: in letteratura come a teatro, nella vita come nella finzione. Edoardo e Carlotta sono sposati felicemente, ospitano nella loro casa il Capitano e Ottilia, ma nelle giornate trascorse insieme qualcosa va oltre il loro controllo e confonde i sentieri battuti: sono le affinità elettive, forze che se ne stanno a metà fra le reazioni chimiche nei nostri corpi e liscrizione dei nostri nomi in un racconto scritto da altri.
«Concentrando lattenzione sui protagonisti afferma il regista - e tentando di dargli una vita in scena, si ha limpressione che il racconto scavalchi il proprio tempo, anticipando una serie di tematiche e di atmosfere che appartengono di diritto a una fase storica posteriore, quella raccontata dal grande teatro della crisi della società borghese. Ecco allora un palcoscenico sul palcoscenico, che inquadra come in una lente dingrandimento quel salotto che è il simbolo e lo spazio privilegiato del teatro borghese».
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