Cultura e Spettacoli

Le affinità elettive trovate in una scatola

A far scoccare la scintilla furono le opere «contenitori» del surrealista Joseph Cornell

Le affinità elettive trovate in una scatola

«Questa è la storia di due scrittori. In altre parole, questa è una storia d’invidia». Così, su Granta, numero di luglio di due anni fa, Kathryn Chetkovich (ex-compagna di Jonathan Franzen) cominciava il racconto Invidia. Racconto sul quale ai tempi il gossip letterario americano si buttò a pesce. La Chetkovich infatti confermava nello scritto l’insostenibile stress viscero-intellettuale cui è sottoposta una potenziale scrittrice di presunto talento se compagna dell’autore del caso letterario mondiale dell’anno, Le correzioni.
Anche questa è la storia di due scrittori. Anche stavolta uno dei due si chiama Jonathan, Safran Foer, mentre la sua compagna, anzi moglie dal 2004, è Nicole Krauss. E anche questa è una storia d’invidia. Solo che stavolta l’invidia pare appannaggio proprio del mondo del gossip letterario americano. La coppia è giovanissima: lui 28, lei 30; ricca: in primavera hanno messo in vendita il loro appartamento di Prospect Park, Park Slope, Brooklyn, per oltre 3 milioni di dollari e acquistato una nuova casa che vale il doppio nello stesso quartiere (dal salotto si vede il salotto di Paul Auster); di successo: il film tratto dal primo bestseller di Foer, Ogni cosa è illuminata, è in uscita negli Stati Uniti ed entrambi hanno già ceduto i diritti cinematografici delle loro seconde prove, che sono, ça va sans dire, i casi letterari della primavera 2005.
C’è di che esserne invidiosi. I due, da quando stanno insieme scrivono libri con titoli diversi - Molto forte, incredibilmente vicino per Foer (dedicato «A Nicole, la mia idea di bellezza», pubblicato in Italia da Guanda) e The History of Love per Krauss («A Jonathan, la mia vita», uscirà sempre per Guanda a settembre) - ma che, guarda un po’, appaiono, per trama, temi e toni, molto simili. Incredibilmente simili.
Ad attaccare Foer, e di conseguenza Nicole, il pettegolezzo giornalistico e le recensioni di colleghi di grosso calibro, come John Updike e Michel Faber. Il primo chiude la recensione sul New Yorker con il seguente monito: «Foer è uno scrittore portato al baccano, un parodista per natura... Ma se facesse più silenzio e abbassasse il numero dei messaggi e l’imponenza dell’apparato grafico, forse riusciremmo a percepire la sua empatia, immaginazione e buona volontà». Il secondo confessa sul Guardian che non riesce ad esimersi dal fare rapporto sul numero elevato di furiosi «aaaarrghh!» annotati a margine durante la lettura di Foer.
Ma come ha avuto inizio la storia di «Mr. and Mrs. Wunderkind»? Per Jonathan e Nicole, galeotto fu un autore più che un libro: Joseph Cornell. Le famose «scatole» - opere d’arte del surrealista newyorchese - sono state oggetto della tesi di laurea di Nicole a Oxford e di un’antologia di poesie raccolta da Foer. Quando l’editore olandese di entrambi ha avuto il merito di farli incontrare nel 2002, i due hanno scoperto il Cornell in comune e la scintilla è scoccata. In seguito lo spirito di Cornell si è incarnato sia nella narratrice quattordicenne di The History of Love, Alma Singer, che compila liste ossessive e colleziona di tutto, sia nel piccolo Oskar protagonista di Molto forte, incredibilmente vicino, che, proprio come faceva abitualmente Cornell, percorre a piedi in solitaria i cinque distretti di New York, alla ricerca di un segreto perduto.
Anche prima di Nicole, la storia di Jonathan sembra il «Manuale del Perfetto Scrittore» (comprese le psicopatologie connesse: colleziona “fogli bianchi” di scrittori famosi, ha speso duemila dollari per la foto della quarta di copertina del primo libro, ha raggiunto le quaranta stesure prima di consegnare il secondo). Un evento capitale - reso pubblico soltanto un mese fa - chiude la sua infanzia e lo catapulta in un non-luogo post-traumatico: a nove anni è vittima, insieme a tre compagni, di un’esplosione micidiale avvenuta nel laboratorio di chimica del campo estivo. Due compagni vengono sfigurati per sempre, uno perde l’uso delle mani. Foer è tra i fortunati, ma ne ricava un esaurimento nervoso che durerà tre anni. A dodici, impara a «dissociarsi» ed esce dal tunnel. La sua carriera letteraria inizia a Princeton, quando Joyce Carol Oates, sua insegnante di scrittura creativa, si complimenta con lui per il suo stile: «Prima, non mi era mai nemmeno balenata l’idea di avere uno “stile”».
Ricevuto in eredità dalla madre, sotto forma di foto, il racconto della donna che salvò suo nonno dai nazisti e colpito da un attacco estivo di «noia mortale», a vent’anni parte per Praga e poi per l’Ucraina, per ricostruire la vicenda. E si trova pure un mecenate, Joe Gatto, un ex allievo di Princeton che gli paga le spese purché scriva un saggio ispirato all’esperienza. Ne verrà fuori, quattro anni dopo, Ogni cosa è illuminata: scritto mentre lavora come receptionist in una società di pubbliche relazioni e fa il ghostwriter per un volume sul cancro alla prostata. Scritta l’ultima pagina, trova la sua agente con un metodo a dir poco originale: cerca nei credit dei romanzi dei futuri colleghi i nomi cui vengono rivolti i ringraziamenti più sentiti. Il più gettonato è quello di Nicole Aragi, sua attuale agente, l’unica che non solo non rifiuterà il suo libro, ma riuscirà a fargli ottenere un anticipo di 500mila dollari. Se gli si chiede di Krauss, dichiara che «amarla ha incrementato la mia capacità di provare emozioni e di vincere il silenzio». Ci ha persino scritto un libretto, che gli ha commissionato l’Opera Nazionale di Berlino (la prima è prevista per settembre), dal titolo Sette tentativi di fuga dal silenzio.
Anche prima di Foer, la storia di Nicole sembra il «Manuale della Perfetta Scrittrice». A Long Island, dove cresce immersa nella lettura: a dodici anni già divora Il lamento di Portnoy di Philip Roth e adora Henry Miller, a tredici ha la sua epifania letteraria con Cent’anni di solitudine e da adolescente si prende una cotta per Walter Benjamin. A Oxford incontra il suo mentore, Joseph Brodsky, cui consegna le sue poesie dopo averne ascoltato una conferenza: la mattina dopo, Brodsky le telefona e passano sette ore insieme a lavorare sui versi. Sarà proprio con un programma radiofonico dedicato a Brodsky che darà l’addio alla sua acerba carriera poetica e si dedicherà alla narrativa, debuttando nel 2002 con il romanzo Man Walks into a Room, storia di un uomo che dopo un’operazione perde ventiquattro anni di memoria della sua vita. Quando chiedono a Nicole che cos’ha in comune con Jonathan, non ha dubbi: «Veniamo dallo stesso posto. Credo che abbiamo intuito le stesse cose nei silenzi della nostra infanzia». E si riferisce a un’infanzia ebraica, segnata dal ricordo dell’Olocausto e ai nonni di entrambi, che entrano nei loro romanzi come persone reali e ne escono personaggi.
Jonathan e Nicole paiono non risentire di nulla. Sembra addirittura che le critiche li nutrano, li rafforzino e li spingano a concedersi costantemente alle interviste. Come quella - un fiume: 15mila parole più o meno - concessa da Foer un paio di mesi fa a Robert Birnbaum, per The Morning News, in cui l’ex-timido sferra un uppercut dopo l’altro. Attacca duramente il New York Times perché pubblica un pezzo sulla quotazione di casa sua («circa 2000 metri quadri di spazio, due terrazzi, una serra e un giardino che occupa due interi lotti». Il giardino però, molto grande, incredibilmente costoso, è riservato alla cagnolina George) e non, poniamo, sul Sudan («È una specie di crimine. Qual è la loro idea di bene? L’aumento delle vendite?»). Si fa egregiamente i conti in tasca, tappando la bocca a chi ne critica gli anticipi da favola: «A New York se un autore prende centomila dollari d’anticipo per il nuovo romanzo fa notizia. Ma incominciamo a dire che poi per scriverlo ci mette quattro anni e arriviamo allo stipendio medio di un’addetta alla reception». E infine classifica Updike come «lettore inadatto» al suo libro: «Niente di male: mica tutti i libri sono adatti a tutti». Roba che persino Birnbaum gli chiede che fine abbia fatto la mammoletta intervistata due anni prima, cui aveva raccomandato di corazzarsi contro le critiche: «Sono tutto corazza, adesso» - risponde Foer - «Non mi è rimasto più nemmeno un organo interno».
Da parte sua Krauss aveva già liquidato Updike nel 2002, in un’intervista ad Esquire: «Updike? Ormai è solo un vecchio rimbambito. Siccome ha finito di vivere, non fa che dichiarare morto tutto».

Un’altra storia d’invidia, davvero.

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