Stavolta cè poco da dare la colpa al caldo se gli italiani sono un po «freddini» con il referendum. Niente gite al mare, certo, ma nemmeno traffico ai seggi. Pioggia e nuvoloni, nella domenica del voto che ha messo assieme i tre quesiti sulla legge elettorale e gli «spareggi» per incoronare 22 presidenti di Provincia e 98 sindaci. Il primo verdetto riguarda laffluenza alle urne (ore 22): poco oltre il 16% per il referendum abrogativo, 32,2% alle provinciali e 44,9% alle comunali. Percentuali in netto calo rispetto a due settimane fa. Mentre bisognerà attendere fino a stasera per i risultati delle sfide dirette (si parte con lo spoglio del referendum, dopo le 15), i suoi promotori cominciano a sentire il gusto amaro della sconfitta. Come accaduto dal 1990 per ben 20 consultazioni popolari diverse, la spada di Damocle del quorum mancato sta per abbattersi inesorabile.
Pesa lindicazione della Lega di non esprimersi sulla legge elettorale, fattore che trova di fatto riscontro nei dati sullaffluenza (provvisoria). Dove il Carroccio è più forte o è cresciuto al primo turno, lo scarto tra quanti hanno votato per il ballottaggio e quanti hanno votato per i tre quesiti è significativo, mentre nelle città del Centro-Sud lo scarto si assottiglia. Succede, per esempio, a Cremona e Padova, dove al primo turno la Lega ha preso oltre l11% e per ora lo scarto amministrative-referendum è attorno a 4 punti. A Ferrara, feudo di Dario Franceschini, la Lega oggi è più forte e la distanza tra referendum e ballottaggi è già del 2%.
Un fallimento annunciato? Giovanni Guzzetta, presidente del comitato referendario, almeno un responsabile lha individuato. La complessità della materia? Macché, il ministro Roberto Maroni. «Le intimidazioni del ministro dellInterno hanno proprio funzionato. In molti seggi non volevano neppure distribuire le schede per far votare i referendum». Il titolare del Viminale non interviene, ci pensa il senatore leghista Alberto Filippi a replicare. Guzzetta sbaglia bersaglio, «se il referendum sta naufragando non è certo per questo. Semmai è la gente a non voler tra le mani le schede del referendum. Sarà il Parlamento ad occuparsi della legge elettorale». Per Ignazio La Russa «andrebbe riformato il discorso del quorum, abbassandolo al 35%». Intanto qualcuno passa alla conta dei «danni». Storace: «Ora Guzzetta, Fini e compagnia dovrebbero pagare per le spese fatte sostenere allo Stato».
I big, tuttavia, non hanno dato buca. Il presidente Giorgio Napolitano, accompagnato dalla moglie Clio, sè recato ieri pomeriggio al seggio romano di via Panisperna. Il premier Berlusconi e la Moratti hanno già votato a Milano per amministrative e referendum, Fini e Alemanno a Roma sono convinti sostenitori del «sì». Schifani, a Palermo, è entrato in cabina con tutte e tre le schede. Tra i leader di partito, Bossi appoggia Podestà ma «ignora» gli altri fogli colorati. Franceschini, in via Lavatore 38 a due passi da fontana di Trevi, dice «sì» quasi di nascosto, perché tra i suoi Rutelli (ma non solo) è contrario. E Di Pietro, in quel di Curno (Bg) ha messo tre crocette sul «no». Come farà oggi la radicale Emma Bonino.
Al club dei disertori «interessati» sono iscritti invece Casini (Udc), Ferrero (Prc), Diliberto (Pdci), Vendola (S&L) e Lombardo (Mpa). Tanti «gufi» per un referendum già abbondantemente sotto la linea di galleggiamento.
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