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Affonda barca: morti tutti i 140 immigrati

La tragedia è avvenuta in acque libiche. Recuperati quaranta cadaveri, due i sopravvissuti. Cento le persone ancora disperse. La barca era diretta in Italia

Affonda barca: morti 
tutti i 140 immigrati

Un cimitero nascosto in un mare che si sta trasformando in un’immensa tomba. In cui un drammatico incedere fa perdere la macabra contabilità dei morti. L’ultima notizia è di ieri: ci sarebbero almeno quaranta vittime e un centinaio di dispersi in quello specchio di Mediterraneo che separa le coste libiche da quelle italiane. Gente senza nome, di patrie confuse, con un unico denominatore comune: tutti erano a caccia di un futuro diventato all’improvviso tragico passato.

L’ennesimo naufragio risalirebbe a una decina di giorni fa. Il condizionale è d’obbligo. A raccontarlo sono i soliti disperati approdati a qualche scoglio o salvati dai pescatori o dalle unità militari che pattugliano le coste. Addirittura stavolta a informarci dell’accaduto sono state le autorità egiziane, avvertite con una settimana di ritardo dai libici. Sembra che tra i cadaveri recuperati nelle acque del «Colonnello» ci fossero una dozzina di cittadini egiziani.

Secondo Il Cairo l’imbarcazione, con a bordo 150 persone originarie dell’Africa, è naufragata al largo delle coste libiche il 7 giugno scorso dopo essere salpata dal porto di Al Zuwarah, vicino al confine con la Tunisia, diretta verso l’Italia. Due persone, un bengalese e un egiziano sono state salvate, ventuno invece i corpi senza vita recuperati dai libici.

Sarebbero stati proprio i sopravvissuti a raccontare la strage. L’ennesima. Una cinquantina di persone provenivano dalla città di Zagazig, sul Delta del Nilo. Le altre arrivavano da Algeria, Marocco e Bangladesh. Avevano pagato, per quello che sarebbe stato il loro ultimo viaggio, 1.300 euro.

Ora non si esclude che i cadaveri di alcuni di loro siano tra quelli recuperati dal Pattugliatore «Sirio» della Marina militare italiana, che il 6 giugno scorso ripescò 13 corpi nel Canale di Sicilia, o dalle motovedette maltesi, che negli ultimi giorni hanno recuperato complessivamente dieci cadaveri, l’ultimo dei quali sabato scorso.

La «Sirio» era intervenuta nella zona, circa 140 miglia a Sud di Lampedusa, in acque di competenza libica, dopo la richiesta di soccorso lanciata dal motopesca Ariete di Mazara del Vallo che la sera del 5 giugno aveva tratto in salvo 27 naufraghi.

I superstiti parlarono di alcuni dispersi, aggiungendo di essere partiti il giorno prima dal porto libico di Al Zuwarah. «Eravamo più di cento, distribuiti su quattro barche», dichiararono al loro arrivo a Porto Empedocle. Due «carrette» riuscirono ad approdare il 7 giugno a Portopalo di Capo Passero, mentre l’altro barcone «gemello» di quello che aveva fatto naufragio risultò ufficialmente «disperso».
E mentre ogni tanto il mare restituisce i nostri morti la politica continua, litigiosamente, a cercare soluzioni. Da sola l’Italia non può affrontare un fenomeno di questa portata, serve l’impegno dell’Unione europea ed è importante «approvare il patto europeo per l’immigrazione entro la fine dell’anno», ha dichiarato ieri il ministro degli Esteri Frattini.

«Su questi temi lavoriamo da anni, ma oggi il momento è maturo».

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