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Affondo Ds su Bassolino «Pluralismo a rischio per il partito a Napoli»

da Roma

Il governatore sarà pure ferito, «ma nun è mmuorto» si direbbe a Napoli. Ruggisce ancora, Antonio Bassolino, e cerca di spezzare la cappa di isolamento calata sulla sua ennesima esperienza di governo campano. Le «spoglie» del potere bassoliniano fanno gola, naturale, e attirano interessi vasti e trasversali. Per questo il presidente della giunta regionale non ci sta a fare il capro espiatorio e si schermisce dietro il partito e la necessità di «costruire la vittoria dell’Unione e di Prodi». Basta schifezze, altrimenti perdiamo, è il succo dell’autodifesa bassoliniana lanciata l’altro giorno. «Contro di me sono state dette molte schifezze - ha detto -, ma io distinguo tra le schifezze e le critiche. Le prime sono di chi le produce e rimangono tali. Delle critiche, delle cose che non vanno, parliamone. Sempre, in ogni momento, ma in modo civile. A mollare, però, non ci penso proprio. Vi sembro uno che molla?».
Su questa linea di critica più pacata cerca di muovere l’attacco la parte riformista del partito, impersonata a Napoli dal senatore a vita Giorgio Napolitano e dal deputato Umberto Ranieri. Il primo, in un articolo sul primo quotidiano cittadino, ha ricordato di aver richiamato l’attenzione di Fassino e D’Alema «su certe situazioni di partito che appaiono preoccupanti». «Da tempo - scrive Napolitano sul Mattino - ho nozione di fenomeni di esclusivismo fazioso nel governo e nella vita del partito napoletano e campano... anomalie e distorsioni istituzionali... che hanno gravi riflessi negativi anche sui costi della politica». La questione fu posta con forza quest’estate dal senatore Cesare Salvi, e si riferisce, tra l’altro, alla moltiplicazione di commissioni in seno al Consiglio regionale. Umberto Ranieri, vicepresidente della commissione Esteri della Camera, rilancia le accuse di Napolitano, lamentando una preoccupazione in più: che «possano prevalere nei Ds a Napoli metodi di conduzione che non consentano di valorizzare il complesso di energie presenti e se così fosse il pluralismo subirebbe un colpo grave». Accusa motivata dal mancato riconoscimento ai riformisti della guida della federazione.
Alla guerra in corso nel partito si aggiunge così la sensazione di una «chiusura burocratica», come la definisce Ranieri. Un gruppo di potere, quello legato a Bassolino, che ormai sembra chiuso a riccio nella sua torre d’avorio, capace soltanto di reagire a ogni critica gridando al complotto contro il governatore. Una situazione che rischia di precipitare, se è vero che dalla questione morale posta da Salvi si è aggiunta via via una serie crescente di accuse. Da quella dell’ex sindaco di Salerno, Vincenzo De Luca, che ha pronosticato l’arrivo di una «nuova Tangentopoli», a quella del filosofo Biagio De Giovanni, che ha parlato di «sistema di potere e relazioni personali». Fino al raffronto, introdotto da Salvi, della sordità e supponenza di Bassolino («Io vinco dal ’93», si era limitato a dire sulle prime), con quella di Antonio Gava dei tempi d’oro.
Degrado cittadino e protervia del gruppo dirigente che hanno finito per mettere in risalto la stessa decadenza dell’antica capitale.

«Ormai queste analisi sono stucchevoli - ha reagito ieri con uguale fervore la sindaco Rosa Russo Iervolino -, abbiamo capito! Funzioniamo malissimo, stiamo per morire. Noi però facciamo gli scongiuri e campiamo». Un modo di correre ai ripari che sembra manifestare negli effetti le stesse cause del malessere di cui è vittima la città. Incapace di capire, incapace di agire.

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