Gli affreschi di Pinturicchio ritrovano i colori originari

Si tratta dei dipinti della Sala dei Misteri della Fede commissionati all’artista da papa Alessandro VI

Laura Gigliotti

Impiegarono due anni per realizzare le decorazioni di cinque sale e ci sono voluti quattro per restaurarne una. Sono i dipinti murali della Sala dei Misteri della Fede dell’appartamento Borgia iniziati da Bernardino di Betto, detto il Pinturicchio, fra il 1492 e il 1493 e terminati nel gennaio 1495. La sala dove il papa riceveva gli ospiti in udienza è decorata con pitture che raffigurano nelle lunette le Sette gioie di Maria in una versione spagnola: Annunciazione, Natività, Adorazione dei Magi, Resurrezione, Ascensione, Pentecoste, Assunzione. Negli spicchi delle volte tondi con busti di profeti e ovunque l’araldica borgiana con gli emblemi dorati del toro, la doppia corona di Aragona da cui il papa discendeva e le sei fiamme ondeggianti.
Alessandro VI Borgia (1492-1503), che una recente storiografia tende a rivalutare, non solo papa nepotista, ma anche politico sottile e signore del Rinascimento, ricorda il direttore dei Musei Vaticani Francesco Buranelli, appena eletto al soglio pontificio, affida all’artista perugino, che stava lavorando nel duomo di Orvieto, la decorazione della sua nuova residenza al primo piano del palazzo pontificio, nell’ala verso il Belvedere, costruita al tempo di Niccolò V. Tre grandi stanze, che il Burcardo, maestro di cerimonie del pontefice nel suo Diario chiama «camere segrete», ovvero private, la Sala dei Misteri, la Sala dei Santi e la Sala delle Arti Liberali, e altre due, la Sala del Credo e la Sala delle Sibille, nella torre eretta dal papa a scopi difensivi, detta Torre Borgia.
Ma il papa ha fretta e Pinturicchio si circonda di numerosi aiuti, umbri, fiorentini, senesi, rivelandosi in quest’impresa più che pittore, imprenditore, anche se la sua mano si riconosce nei ritratti del papa inginocchiato davanti alla Vergine. Da qui la presenza di «una qualità diversa di pittura» rispetto agli affreschi della Sistina e della Libreria Piccolomini di Siena dello stesso Pinturicchio, sottolinea il professor Arnold Nesselrath. Per guadagnar tempo Pinturicchio non adotta l’affresco, ma una tecnica più veloce, simile a quella della pittura su tavola, usando tempera, pigmenti legati con uovo, olio e colla e stesi su una preparazione di gesso, colla e biacca, applicata su pareti asciutte. Una tecnica mai eseguita in altri cicli vaticani, ricorda il maestro restauratore Maurizio De Luca e che fa grande uso di lacche, colori che danno una straordinaria trasparenza, di oro zecchino, di stucco per suggerire la plasticità e perfino di pelli, di pergamena, di cera, di spaghi. È la grande novità di questo restauro che ha recuperato non solo un interessante ciclo pittorico, ma un insieme unico, dal pavimento, alle lunette, alla volta, che permette di cogliere quella gaiezza e allegria tipica della cultura del papa spagnolo che riesce a coniugare sapientemente l’atmosfera ispano-valenziana con la maestria e la raffinatezza del Rinascimento italiano. Ma che spiega anche la fragilità delle pitture e la complessità del restauro che ha richiesto accurate analisi scientifiche e un lungo lavoro.

Da un lato l’intervento sui dipinti murali della volta e delle lunette danneggiati anche da un caminetto, dall’altro quello sul basamento che, a differenza del resto, è dipinto ad affresco ed è stato restaurato nell’Ottocento prendendo per buoni i colori rimasti per la preparazione dell’affresco come il violetto e il «verdaccio».
Viale Vaticano, tel. 06-69883332. Orario: lun-ven 8.45-15.20; sabato e ultima domenica del mese 8.45-13.20. Chiuso domenica (tranne l’ultima del mese gratis).

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