nostro inviato a Parigi
Eccoli qui i tesori ritrovati di Kabul, dati per dispersi, saccheggiati, venduti, e invece a lungo sapientemente nascosti, pazientemente restaurati e ora finalmente esposti. Campeggiano al Museo Guimet in quella che è la più gettonata mostra di Parigi («Afghanistan, les trésors retrouvés», fino al 30 aprile), un tutto esaurito che sa di affetto verso un popolo martoriato per il quale non si riesce a intravedere un futuro e di meraviglia di fronte alloro accecante di bracciali, anelli, diademi, collane che fa tornare il visitatore bambino, quando appunto gli ori e i tesori erano queste cose qui, squillanti nei colori, sontuose nei decori, massicce eppure delicate, inesauribili quanto a numero, fattura, dimensioni...
Provengono da quattro siti archeologici: Fullol con i suoi vasi doro della civiltà bactriana delletà del bronzo; Ai-Khanoum, fondata da Alessandro Magno a testimonianza dellellenismo alle porte delle steppe; Tillia Tepe con il suo intreccio di iconografia greco-romana, oggetti indiani, specchi cinesi; Bagram, con lavorio e il vetro, il bronzo e il gesso dellincontro fra India e mondo ellenico. Dal Duemila avanti Cristo del primo al IV e II secolo a.C. del secondo, al I e II secolo d.C. degli ultimi due, rappresentano un patrimonio che ci parla di unEurasia aperta, fecondata dagli apporti delle grandi civiltà, impero romano e impero cinese, impero indiano e parto... E ancora lEgitto e il Medio Oriente ellenistici, i re indo-greci, gli aristocratici nomadi.
Linsieme, stupefacente e imponente, testimonia limportanza dellAfghanistan in un arco di tempo di quattro secoli e a cavallo di unera, come territorio aperto sui mondi più lontani, il Mediterraneo, la Cina, la Siberia, ma che attirava verso di sé il meglio della produzione artistica destinata alle élites. Geograficamente situate a Nord-Est Ai-Khanoum, ovvero ai confini del mondo ellenizzato dellepoca, a Nord-Ovest Tillia Tepe, di fronte a quello che è lodierno Turkmenistan, a Sud Begram, vicino a Kabul e sulla strada per lIndia, le scoperte archeologiche che ne portano i nomi hanno il pregio dellunicità: il tesoro di Tillia Tepe, sei tombe con i gioielli di famiglia appartenenti al mondo nomade sciita, è esposto per la prima volta al pubblico, quello di Begram presenta i vetri greco-romani più antichi e eccezionali che sia dato vedere, nonché avori indiani di tale splendore che nemmeno il subcontinente può dire di possedere.
Dice Pierre Cambon, conservatore capo del museo e co-commissario della mostra, che più di una sedimentazione passiva di influenze straniere, larte in Afghanistan è il frutto non di una identità, questione problematica e ancora aperta, ma di «una civiltà incontestabilmente brillante e attraente per i Paesi confinanti, lIran, lIndia e in primo luogo il mondo delle steppe nel suo svilupparsi in certe epoche. Del resto, la conoscenza che si ha del passato afghano è ancora molto parcellizzata. Sessantanni di scavi vogliono dire essere ancora agli inizi, e questo nel contesto di un saccheggio organizzato in forma industriale e dunque di una corsa contro il tempo per riuscire a preservare ciò che è ancora possibile. È tuttavia incontestabile che la terra afghana abbia visto schiudersi forme darte del tutto singolari, come larte sciito-ellenizzante di Tillia Tepe, che mischia lestetica romana e quella greca, o ancora larte greco-buddista... Esse riflettono il felice sincretismo fra culture di cui lAfghanistan è stato teatro, un territorio mondializzato avanti-lettera con una circolazione molto fluida sia di forme sia, sicuramente, di idee».
Costruita come un susseguirsi di stanze, lesposizione sgrana i suoi tesori lungo un percorso che li vede confrontarsi, incontrarsi, sovrapporsi, divergere. Begram, lantica Alessandria del Caucaso, presenta lacche cinesi dellepoca Tan, bronzi greco-romani di divinità, galli dal volto umano, donne-uccello, statuette davorio indiane di cavalieri in groppa a leogrifi. Dei gioielli dal lusso barbaro di Tillia-Tepe si è già detto, ma la ricostruzione virtuale di Ai-Khanoum, la città greca estremo avamposto lungo il fiume Oxus, dopo il quale cè la steppa, lOriente, lignoto, declina un modo di vita familiare agli occhi di un occidentale: il ginnasio, il teatro, lagorà, le massime delfiche: «Bambino, che tu sia ben educato; giovane, signore di te stesso; nel mezzo della vita, giusto; vecchio, saggio; nel momento della morte, senza tristezza».
Questa del Guimet è la seconda mostra, in quattro anni, dedicata alla cultura afghana. La prima, «Afghanistan. Una storia millenaria», radunava il meglio di quella storia conservato in Europa, più di duecento oggetti darte, statue, pitture, decorazioni, miniature, utensili che dalletà del bronzo giungevano alla conquista greca, allIslam medievale, allinvasione dei mongoli. Il Paese usciva allora da una guerra, era caduto un regime, nato un nuovo governo, ma rimaneva una nazione devastata dove i terremoti politici si univano a quelli naturali, le distruzioni ideologiche a quelle belliche.
Due anni dopo, al giornalista occidentale che vi si fosse recato lAfghanistan avrebbe dato lidea di un medioevo meccanizzato del XXI secolo... Il Museo nazionale di Kabul era in via di riapertura e nellatrio appena ripulito cera un minuscolo concentrato dellantico splendore: i Bodhisahva del II secolo, il catino di marmo del Tempio di Mirwais Baba a Kandahar del XIV secolo, islamico ma istoriato alla base con i motivi floreali buddhisti, i guerrieri lignei a cavallo del Nuristan...
Oggi si parla di una nuova sede, nel centro di Kabul, ma la copertura economica perché ciò si verifichi non è stata ancora trovata e tutto è più una speranza e una volontà di ricominciare che una certezza.
Politicamente, lAfghanistan resta instabile, un governo che fuori della capitale non ha alcun potere, i «signori della guerra» sparsi sul territorio e spesso con cariche di governo, feudatari di città, Herat, Mazar, Kandahar, che in fondo fanno capo a sé, un ritorno sulla scena dei talebani, un contingente internazionale sempre più in difficoltà. Che si vada alle grotte di Bamyan o alle rovine di Balkh, che si riesca ad arrivare ai siti buddhisti di Hatta, vicino a Jalalabad o a quelli greci di Ai-Khanoum, vicino a Kunduz, il presente non ti consegna che gli echi impercettibili di quella che fu una successione straordinaria di forme darte e di civiltà: Estremo Oriente ai tempi di Alessandro, terra di confine per i pellegrini cinesi della dinastia Teng, Via della seta e «regno dellinsolenza» delletà di Tamerlano, luogo geometrico del bolsaia igra, il «grande gioco» anglo-russo del XVIII e XIX secolo...
I nomi di una guerra recente acquistano così una dimensione nuova allorché te li ritrovi a indicare ora una statua, ora un impero, ora un commercio, ora una spedizione. I tesori del Museo Guimet si impongono come una collana di brillanti e di spine intorno al collo martoriato di un popolo.
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