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Afro-conservatori, il nuovo potere nero in Usa

L’effetto Condoleezza cattura i giovani. E poi la tv: la maggioranza della comunità black guarda Fox, la rete di Murdoch che strizza l’occhio a destra

nostro inviato a New York
L’unico che non ha capito è Carl Lewis. Lui correva e parlava: ora che non corre più, ma continua a parlare, questa storia lo irrita. Gli fa ancora male la battuta di Reagan: «Ho fatto tanto per voi, dovreste ringraziarmi». Noi neri? «No, voi ricchi». Non poteva capire allora, non capisce oggi. La rincorsa è cominciata quando lui girava il mondo con la bandiera a stelle e strisce. Era il 1986 e i neri che votavano partito repubblicano erano meno del 5%. Stavano tutti dall’altra parte, come Carl. Vent’anni dopo Lewis si sente un po’ più solo. Dal 5 al 13%: voti raddoppiati, anzi di più. Nelle prossime elezioni di mid-term, i neri repubblicani saranno quanti non sono mai stati: verrà superato anche il record dell’11% delle presidenziali 2004. È una rincorsa non veloce, ma costante: gli afroamericani cominciano a lasciare i democratici che li avevano corteggiati dai tempi di Franklin Delano Roosevelt, trent'anni prima che ottenessero il diritto di voto. Passi precisi: otto punti percentuali in più per i repubblicani tra le presidenziali del 1996 e le previsioni per l’appuntamento di metà mandato del prossimo novembre.
I protagonisti
Nomi, cose, città. Allora i giornali si chiedono se il 2006 sia l'anno dei repubblicani neri. Washington Post si dà anche la risposta: sì. Aggiunge dettagli attraverso la voce di Ken Mehlman, segretario del partito repubblicano: «È come il 1992. Quello era il momento delle donne, questo è quello degli afro-americani. E io sono contento che molti di loro siano repubblicani». Volti: Kenneth Blackwell, Lynn Swann, Michael Steele. La strada passa per questi tre personaggi. Due candidati a governatore, uno a senatore. Pennsylvania, Maryland e Ohio, gli Stati. Due roccheforti democratiche, più uno diviso a metà. Tutti e tre punti fermi per l’elettorato di colore che ha sempre scelto l’Asinello e boicottato l’Elefante del Grand Old Party. Stavolta potrebbe non essere così: i sondaggi sono in bilico, la corsa è aperta, il risultato incerto. È già una mezza vittoria per chi ha sempre preso meno del dieci per cento. Allora questa è una strada nuova. Affascinante. Forse è il futuro.
Le corse chiave
Quello che sta messo peggio è Lynn Swann. Può diventare il governatore della Pennsylvania. È un ex giocatore di football americano. Era famoso: giocava nei Pittsburgh Steelers, è entrato nella Hall of fame, il meglio del meglio dello sport Usa. Poi s’è messo una giacca e s’è appuntato una coccarda del Gop. Pronto a vincere. Non ce la farà: troppo forte l’avversario. Anche Ken Blackwell parte svantaggiato. È il segretario di Stato dell'Ohio. Corre contro il democratico Ted Strickland. Blackwell era sotto di 15 punti. Troppi per farcela. Ora ha ridotto il margine: otto punti. Fino a novembre può arrivare al testa a testa. È un uomo potente: è stato il capo della macchina elettorale repubblicana in Ohio alle elezioni del 2004. E l'Ohio era lo Stato chiave per la Casa Bianca. Parla già al futuro, Blackwell: «Per me non conta vincere adesso. Stiamo costruendo le basi per il domani». E quello che gli chiedeva il partito lui l'ha fatto: i sondaggi dicono che tra i neri raddoppia i voti.
Poi c’è Michael Steele. Avvocato con laurea a Georgetown, ex vice-governatore del Maryland. È candidato per il Senato a un passo da Washington, laddove ogni nero vota sempre e soltanto democratico. Forse non il prossimo novembre. All’Associated press gli studenti di Georgetown di oggi dicono di essere indecisi per la prima volta: «Ehi, io sono democratico. È così che sono cresciuto. Però poi ho sentito parlare Michael e ho capito che potrebbe piacermi». Dovesse vincere, Steele sarebbe il sesto senatore nero della storia degli Stati Uniti. Sarebbe anche l’anti Barack Obama.
Il ruolo della tv
I neri che cominciano a spostarsi a destra si siedono davanti al televisore e guardano Fox, la rete di Rupert Murdoch considerata vicina ai conservatori. Lo dice un sondaggio commissionato dal Center for American Progress, un think tank centrista diretto da John Podesta, l'ex capo di gabinetto di Bill Clinton. Percentuali: 55 afro-americani su cento sono devoti spettatori della rete di zio Rupert. La guardano tutti i giorni, contro il 30% degli ispanici e contro ovviamente gli arabo-americani: al 52% loro preferiscono la Cnn. Solo che questo si sapeva, mentre che i neri guardino la rete di Murdoch è una novità. Il dato sugli afro-americani è quello giudicato più significativo dagli esperti di mass media. Preoccupante, anche. Per i democratici. Il presidente dell'Asinello, Howard Dean, l’ha detto più volte: il suo partito dà il voto della comunità nera troppo per scontato e questo rischia di essere un errore. Poi, però, l’ex governatore del Vermont ed ex candidato trombato alla Casa Bianca è caduto in una delle sue clamorose gaffe: ha detto che i repubblicani sono «un partito di bianchi cristiani». Tutte le associazioni di black conservatives lo hanno preso di mira, su internet è arrivata la versione di questa frase mixata con l'urlo che tradì Dean durante le primarie democratiche 2004. Tutti hanno fatto notare al povero Howard che in fondo anche lui è un bianco cristiano.
Il futuro: i giovani
La rincorsa degli afro-repubblicani passa per una scelta strategica. All’inizio del 2004 il partito ha reclutato diecimila team leader neri e li ha messi in cammino. Chiese, comunità, campus. Poi candidati ovunque, alle elezioni comunali, in quelle circoscrizionali, in quelle di quartiere. Tanto per far capire ai ragazzi che i repubblicani di oggi non sono più quelli degli anni ’60 che stavano zitti sulla discriminazione. Oggi parlano e i neri del Gop hanno spazio. Condoleezza Rice ha fatto la sua parte: è un modello di riferimento per le ragazze, ma anche per i ragazzi. Condi è seconda nella classifica del gradimento degli afro-americani, una graduatoria annuale fatta su un campione standard e indicativo. Prima di lei c’è solo il reverendo Jesse Jackson. La Rice mette sotto anche Oprah Winfrey e vince tra i giovani. Hanno letto la sua storia a puntate su The Black Republican, una rivista piccola e combattiva. È l’organo ufficiale dell’associazione dei neri repubblicani. Target: uomini e donne tra i 25 e i 50 anni. Neri e tendenzialmente conservatori. Giovani, allora. Giovani perché è là che pesca più voti il partito. L’Howard College è la storica università dei neri: oggi secondo il liberal Boston Globe è diventata la roccaforte dei nuovi repubblicani. Ragazzi, studenti, laureati o laureandi. Cultura medio alta. Li ha convinti uno slogan inventato da Ken Mehlman: «Dateci una chance e noi vi daremo una scelta». Il 13% è un pizzico, ma è il doppio di sei anni fa. Non importa se il 2006 è l’anno dei repubblicani neri: possono prendersi un governatore e portare un senatore a Washington. Give us a chance, dicono. Eccola.

Questa è una possibilità.

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