da New York
Forse molte vite si sarebbero potute salvare al Virginia Tech di Blacksburg, in Virginia, se lallarme fosse scattato nel campus subito dopo la prima sparatoria. Allindomani della più terribile strage che mai sia stata compiuta in ununiversità americana, sono in molti a interrogarsi sulla lentezza con cui le autorità hanno reagito. Cho Seung Hui, il giovane sudcoreano, ha sparato una prima volta alle 7,15 in un dormitorio che ospita 900 ragazzi, e ha ucciso le sue prime due vittime. Solo alle 9,26 però sono partite le e-mail in cui si informavano gli studenti dellaccaduto e si chiedeva loro di contattare la polizia se avessero visto qualcosa di sospetto.
Tra le 9,40 e le 9,45 lassassino ha fatto irruzione in unaula, aprendo il fuoco allimpazzata: trenta le persone morte sotto i suoi colpi. Dieci minuti dopo i ragazzi hanno ricevuto un altro messaggio di posta elettronica in cui si sollecitavano tutti ad asserragliarsi in stanze e classi e a stare lontani dalle finestre.
«Credo che abbiano fatto del loro meglio inviandoci e-mail, ma forse se lavessero fatto prima si sarebbero potute salvare delle vite», ha detto Savannah McReynolds, 18 anni, studentessa di biologia del politecnico. «Dal momento che qualcuno era entrato nel campus e ucciso due studenti nel dormitorio, avrebbe dovuto esserci immediatamente una comunicazione a ragazzi e insegnanti di ciò che stava accadendo», ha fatto notare Lorraine Watkins, madre di una studentessa.
Sia la polizia sia il rettore, Charles Steger, si sono difesi spiegando che in un primo momento non si era capito ciò che stava accadendo in un campus grande quanto una cittadina e con oltre 26mila studenti. Allinizio, hanno detto, si è pensato che la prima sparatoria fosse un fatto isolato. «Abbiamo fatto il possibile sulla base di ciò che sapevamo in quel momento», ha affermato Steger. Wendell Flinchum, capo della stazione di polizia del campus, ha raccontato che le autorità erano certe che il killer fosse fuggito dopo la prima sparatoria e che si pensava che a sparare fossero stati in due.
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