Francesco Leoni è stato uno dei più grandi fotografi italiani. Nel suo ricordo i figli Andrea e Paola hanno voluto realizzare questa bella iniziativa con la Carige. Ecco una loro testimonianza legata alle 200 immagini presentate.
È la prima volta che una raccolta, seppur parziale, del grande archivio realizzato e in parte anche raccolto da nostro padre Francesco viene esposta al pubblico: il suo è stato un lungo viaggio nella vita della Liguria dagli anni Venti del Novecento fino alla sua morte, nel Duemila.
Non ha tralasciato nulla e dove non è arrivato lui, o i tanti fotografi che con lui sono cresciuti nell'agenzia Leoni, ha cercato comunque una testimonianza negli archivi che venivano dismessi e che ha acquisito. È la cronaca di eventi grandi e minuti, fotogrammi che appartengono alla memoria collettiva perché accaduti sulla scena pubblica come i giorni della Liberazione o le lotte operaie, gli studenti in piazza, gli anni bui del terrorismo, l'andirivieni di ministri, re e principesse, divi del cinema.
Ma sono anche immagini che spalancano per ciascuno la memoria privata di una strada o di un quartiere che non ci sono più, della polleria con l'odore degli animali ancora vivi e delle piume, dei venditori ambulanti con le bilance a due piatti e i pesi. Fotografava tutti con lo stesso rispetto, che fossero potenti o no. E nascevano rapporti sinceri, come quello con il sindaco Adamoli, o con Angiulin Costa, il Maigret genovese: andavano a caccia insieme, ma ognuno con il suo scopo: uno sparava l'altro fotografava. Un altro che veniva in studio era Gilberto Govi.
II cardinale Siri io chiamava «Franceschino» e lo salutava con un buffetto sulla guancia anche quando ormai era un uomo fatto. Al matrimonio di Grace Kelly e Ranieri di Monaco si era seduto sul cilindro del duca di Windsor: gli aveva dato un passaggio per portare i negativi alla stazione. E si potrebbe continuare all'infinito.
Ha documentato il novecento con l'occhio del cronista e che, da qui, dalla sua città, ha contribuito a raccontare anche sui giornali di mezzo mondo. Ha vissuto i tempi pionieristici del fotogiornalismo italiano, quando la tecnica era tutto e i mezzi erano pochi e difficili da «domare».
Raccontava sempre di quel primo studio che aveva aperto da solo, la prima «agenzia Leoni»: era in Porta Soprana, ma mancava l'acqua corrente che allora era indispensabile per il lavaggio delle fotografie. «E come facevi?» gli chiedevamo. «Quando avevo sviluppato le foto andavo a lavarie nella vasca di De Ferrari o alle fontanelle, poi le riportavo su, le mettevo sulla piastra, le lasciavo asciugare e le portavo ai giornali». E giù una bella risata. Lo studio è cresciuto in pochi anni.
Quando i giornali erano lontani, a Roma, Milano, a Berlino o a Parigi, o lui era fuori Genova, le foto le spediva con il treno: affidava i negativi al capotreno. Poi è venuta l'era delle telefoto: si andava all'ufficio postale.
Quando è arrivato il computer e in studio siamo arrivati noi, ci ha messo un pò ad abituarsi. Non era convinto di quelle immagini sullo schermo, spedite al giornale semplicemente schiacciando un tasto. Fatto. «Si, ma adesso dove sono?», chiedeva.
L'archivio, il «suo» archivio, continua: non ci siamo mai fermati, continuiamo anche noi a raccontare questa città e i suoi fatti, la sua vita. Ringraziamo Banca Carige per l'occasione che ci ha dato di mostrare ai Genovesi almeno una piccola parte di quella memoria che lui ha voluto conservare per tutti.
Paola Leoni
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