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Fabrizio Aspri

da Roma

Tra messaggi in codice e dribbling all’indifferenza, inizia l’era giallorossa di Spalletti, tecnico sbarcato in riva al Tevere con l’intento di «spruzzare» normalità nello spogliatoio romanista, allontanare gli spettri di Zeman e proporre buon calcio strizzando l’occhio al tridente. Pochi concetti, ma estremamente chiari. Restaurare e migliorare, senza rinnegare passato e ideologie. Come dire: tutto ciò che in casa-Roma è venuto meno nell’ultima annata, d’incanto potrebbe uscire dal magico cilindro dell’allenatore di Certaldo.
«Quando entrerò per la prima volta nello spogliatoio - ammette Spalletti – renderò noto il mio intento: riportare la normalità. Le qualità di questi giocatori sono indubbie. Occorre solo ripristinarne il comportamento». Nessuna «missione impossibile», dunque. Ma tanta voglia di dettare regole e rimettere in carreggiata una fuoriserie rientrata troppo spesso ai box nel corso dell’ultimo torneo. «Gli obiettivi? Arriveranno attraverso i comportamenti: sono questi che vanno in campo, non i nomi o le maglie. Bisogna sacrificarsi, dimostrare di essere una squadra». Questa la base di partenza. Questo il credo dal quale Spalletti non ha alcuna voglia di separarsi. Una filosofia da applicare dentro e fuori dal campo. Dove, come dice il toscano, non verrà mai meno «la ricerca di andare a far male all’avversario» e nel quale, dovrà sempre partire «dai piedi di Totti la qualità per le tre punte».
Si alza il sipario sulla lezione di tattica. «La mia squadra ideale gioca con tre attaccanti ed è votata al gioco offensivo. La difesa invece, deve saper cambiare pelle. L’assetto somiglierà a un 4-2-1-3 o a un 3-4-3. Totti? È il nostro leader, può agire dietro la prima punta, oppure come terzo attaccante. Cassano, invece, (oggi incontro Roma-Juve a Milano per delinearne il futuro, ndr) ha mostrato qualità che vanno inserite in un contesto: aspetto di conoscerlo per dare una valutazione completa. Curci? È bravo, ma esiste il problema che possa essere troppo giovane».
Da rivedere, quindi. Come la lista degli acquisti, pronta sul tavolo di Rosella Sensi e in attesa di terminare nell’archivio delle operazioni concluse. Lui, lo Spalletti che non ti aspetti, non lo dice ma ci spera: vorrebbe offrire vacanze romane a qualche ex allievo. «Pizarro? Tutti lo vorrebbero e piace anche a me. Anche Felipe e Di Michele sono ottimi giocatori. Kuffour, Taddei e Nonda intanto, trovano la mia approvazione».
Fuori dal fortino di Trigoria, radio in mano e volti increduli, ci sono poco più di trenta tifosi. Non è tempo di brindisi. Dopo i volantini apparsi in città qualche giorno fa, che invitavano la società a non ingaggiare Spalletti e a puntare su Zeman, la risposta della piazza è arrivata puntuale: neanche l’ombra di uno striscione, nessun coro, totale assenza di gruppi organizzati. Il neo-giallorosso intuisce e rende noti aneddoti che dipingono al meglio il suo approccio con la capitale. «Venendo qui ho ricevuto alcuni sms – racconta –, dei quali due o tre non riportavano offese, non erano firmati e mi invitavano, in maniera brusca, a non allenare la Roma. Altri cinque invece, mi accoglievano molto bene. E, soprattutto, erano firmati. Beh, preferisco dare ragione a questi ultimi. Insomma, non voglio mi sia dato niente, se non un po’ di tempo».
Già, il tempo. Lo stesso che Rosella Sensi, prima dei saluti, cerca di utilizzare al meglio per chiarire il rebus in voga all’ombra del Cupolone. «Non c’è stato alcun veto di Capitalia per Zeman – spiega lei –. Abbiamo solo preferito Spalletti».

Tutto chiaro? Al toscano, sbarcato a Roma per cercar gloria, il compito di scacciare a suon di gol e successi scetticismi e incredulità.

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