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Ahmadinejad detta le condizioni per il dialogo: «Obama ci chieda scusa»

VOTO Il numero uno del regime si ricandiderà alle prossime elezioni. Ma un ayatollah l’accusa: è ebreo

Ahmadinejad detta  le condizioni per il dialogo: «Obama ci chieda scusa»

Barack Obama tende la mano al regime iraniano, al mondo arabo e a tutto l’Islam, Mahmoud Ahmadinejad, il pasdaran fattosi presidente, gli risponde a muso duro, esige il pentimento del Grande Satana, il ritiro dei soldati americani da ogni latitudine, una resa totale e incondizionata su tutte le questioni che hanno avvelenato i rapporti tra le due nazioni. E tanto per non tralasciare nulla pretende anche la fine dei rapporti con Israele. Su quell’ultimo, scottante argomento il duro e puro Mahmoud Ahmadinejad - che ha appena annunciato di volersi ricandidare alle elezioni presidenziali del prossimo giugno - rischia però di far i conti con gli scheletri di famiglia, o meglio con un imbarazzante cognome sepolto tra le polveri dell’anagrafe. Un nome cambiato dalla sua famiglia, un nome che, secondo il figlio di un ayatollah conosciuto come suo acerrimo oppositore, accomunerebbe il presidente iraniano ai nemici sionisti. Come il «caporale boemo» Adolf Hitler anche Ahmadinejad deve, insomma, fare i conti con chi gli rinfaccia gocce o litri di sangue semita. Proprio a causa di quei sospetti sente forse la necessità di volar più in alto dei falchi.
Di fronte alla mano tesa di Obama, Ahmadinejad si chiude a riccio, mostra gli artigli. Consapevole di poter decidere poco perché la parola finale sull’America spetta sempre e solo alla Guida Suprema Ayatollah Alì Khamenei il presidente si trincea dietro una serie di condizioni impossibili. La prima riguarda la presenza delle truppe americane all’estero. Ahmadinejad non s’accontenta del promesso ritiro dall’Irak, ed esige un dietro front totale da Bagdad fino a Kabul: «Se parlano di cambio di politica - spiega - devono metter fine alla presenza militare in tutto il mondo». E non è che l’inizio. «Dovrebbero scusarsi con la nazione iraniana, risarcirci per i crimini commessi contro di noi» - annuncia il presidente che riprende la tesi del complotto ebraico e chiede a Obama di dire la verità sugli attentati dell’11 settembre 2001: «Come per l’Olocausto non è mai stata rivelata, è stata solo un pretesto per attaccare Afghanistan e Irak e uccidere milioni di persone». Il diktat finale è però l’annuncio che il Paese non rinuncerà al nucleare e la pretesa che Washington metta fine «al sostegno all’illegale e falso regime sionista».
Mentre sbotta contro Israele i suoi connazionali se la ridono leggendo le insinuazioni sulle sue ascendenze semite messe in rete dal sito dell’acerrimo oppositore Mehdi Khazali, figlio dell’influente ayatollah Abdulqassim al Khazali, già membro del Consiglio dei guardiani della Rivoluzione ed ancora oggi assai vicino ai vertici del regime. A dar retta a Khazali il vero cognome di famiglia del presidente non è Ahmadinejad, ma «Sporjian» un nome bollato come evidentemente «giudaico». Il cambio era già emerso dopo l’elezione del 2005 quando i giornalisti precipitatisi all’anagrafe del villaggio natale di Aradan individuarono un cognome originario che suonava come Saborjan. Quel nome generato dalla radice farsi «sabor» (tintore) indicava i discendenti di un’umile dinastia di tintori di tappeti e sarebbe stato sostituito con il più glorioso Ahmadinejad ovvero stirpe dei virtuosi. A quel tempo la famiglia attribuì il «cambiamento a ragioni di ordine politico e religioso». Khazali, quattro anni dopo, sostiene che il nome autentico sarebbe «sporjian» e avrebbe chiara ascendenza semita.

Un’ascendenza che a quattro mesi dalle elezioni presidenziali di giugno rischia di risultare devastante come una stella di David cucita sul petto.

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