Ahmadinejad sfida Londra: in manette otto funzionari

C'è voglia di complotto. Anzi ce n'è un disperato bisogno. Lo evoca da giorni il presidente Mahmoud Ahmadinejad denunciando le interferenze di Barack Obama e dell'Europa colpevoli di soffiare sul fuoco della protesta. Lo liquida con disprezzo la suprema Guida Alì Khamenei parlando di «idiozie occidentali sulle elezioni». Lo tessono le voci del regime ripetendo la favola di una Neda uccisa davanti agli obbiettivi grazie ai trucchi dell'espulso corrispondente della Bbc John Leyne. Lo costruiscono ad arte i servizi di sicurezza mandati sabato ad arrestare otto o nove iraniani colpevoli solo di lavorare nella sede dell'ambasciata britannica di Teheran.
Quest'ultima mossa, annunciata ieri, sembra l'ennesimo tassello della sofisticata costruzione destinata a provare che la protesta per i brogli elettorali non deriva dal malcontento popolare, ma viene alimentata e fomentata dalle grandi potenze occidentali. Gli otto - spiega l'agenzia Fars vicina al presidente Ahmadinejad - avrebbero avuto «un ruolo attivo e importante» nei disordini seguiti alle elezioni presidenziali del 12 giugno. La scelta di scaricare ogni responsabilità su Londra sembra decisa da tempo. La Suprema Guida Alì Khamenei durante il suo sermone di due venerdì già puntava il dito contro l'Inghilterra. Domenica scorsa il ministro degli Esteri iraniano, Manuchehr Mottaki parlava di un complotto britannico per manomettere il risultato delle elezioni. E quasi contemporaneamente veniva annunciata l'espulsione di due diplomatici britannici accusati di spionaggio. Questa pervicacia anti-britannica si basa su almeno due ragioni. La prima è legata al tradizionale sospetto di una buona parte degli iraniani nei confronti degli inglesi considerati i padrini di tutti gli intrighi e gli inventori di una dinastia dello Scià creata dal nulla per difendere i propri interessi imperiali. La seconda risponde ad un preciso pragmatismo politico. Accusando soltanto Londra il regime può smentire l'esistenza di un effettivo malcontento e, al tempo stesso, mantenersi aperta la possibilità di una futura trattativa con Washington.
Londra non è però disposta a stare al gioco. Fonti diplomatiche europee parlano di un governo inglese infuriato deciso ad ottenere quanto prima la liberazione dei dipendenti della propria ambasciata. Quattro sarebbero già stati rilasciati, per gli altri sarebbero in corso trattative frenetiche. I portavoce del Foreign Office definiscono «minaccioso e intimidatorio» il comportamento iraniano e chiedono un «immediato rilascio». Due settimane fa il premier Gordon Brown aveva reagito alla doppia espulsione dei suoi funzionari d'ambasciata ordinando un provvedimento analogo nei confronti di due diplomatici iraniani a Londra.

Ieri a dar man forte al Regno Unito sono intervenuti i ministri degli Esteri dell'Unione Europea che dal vertice Ocse di Corfù hanno chiesto a Teheran di metter fine agli arresti arbitrari e minacciando in caso contrario una risposta europea «forte e comune».

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