Ahmadinejad in testa. Moussavi: «Ho vinto io»

PERICOLO VIOLENZE Tafferugli in piazza tra polizia e sostenitori del partito d’opposizione

Ahmadinejad in testa. Moussavi: «Ho vinto io»

Una cosa è chiara al tavolo verde delle elezioni iraniane: qualcuno bara e lo fa senza troppi complimenti perché nelle maniche non ha solo gli assi, ma anche una pistola carica chiamata pasdaran. E allora c’è poco da discutere almeno non in quella torrida notte di Teheran accesa dall’azzardo di un Mir Houssein Moussavi deciso ad autoproclamarsi vincitore e spenta dal profluvio di dati ufficiali che lo condannano ad una secca sconfitta e assegnano la vittoria con il 67,7 per cento dei voti scrutinati (circa il 47 per cento delle schede alle 3 di notte iraniane) a Mahmoud Ahmadinejad.
Certo può ancora cambiare qualcosa perché nelle città dove l’onda verde dei sostenitori di Mir Houssein Moussavi ha assediato i seggi fin oltre mezzanotte costringendo il governo a prorogare la chiusura di sei ore sarà difficile assegnare una vittoria così bulgara al presidente candidato. Ma in definitiva che conta? Queste elezioni confermano i peggiori sospetti di Mir Hossein Moussavi e dei suoi sostenitori, quelli di esser prigionieri di una partita dove il voto è solo apparenza e dove i risultati li determinano non i votanti, ma i controllori. Certo la grande corsa al voto degli iraniani aveva acceso qualche speranza. Quella massa di votanti, vicina o forse superiore all’ottanta per cento, aveva richiamato alla memoria la magica notte del 1997 quando la corsa alle urne segnò l'inizio delle riforme di Mohammed Khatami. Invece è finita con i pasdaran nelle strade della capitale alla caccia dei sostenitori dell’opposizione. Non ancora un golpe, ma un esplicito avvertimento.
La corsa al voto non era bastata, del resto, a tranquillizzare l’«onda verde» di Mir Hossein Moussavi, il 64enne ex primo ministro anni 80 riciclato come icona dell’opposizione riformista. I suoi fedelissimi da giorni temevano brogli e manovre capaci di vanificare il voto dell’opposizione.
«Tutti gli organi di vigilanza elettorale sono uniformemente filo Ahmadinejad» avvertiva Alì Akbar Mohtashamipour, eminenza grigia della campagna di Moussavi ricordando che quegli stessi organismi plasmarono quattro anni fa la vittoria di Ahmadinejad.
Nessuno sa se stavolta la Suprema Guida Alì Khamenei abbia ripetuto l’indicazione di voto che 4 anni fa garantì all’attuale presidente il sostegno dell’apparato militar religioso e il voto di milioni di pasdaran, soldati e «volontari della rivoluzione» (basiji).
Di certo però come ha ricordato lo stesso Moussavi i suoi uomini non hanno neppure potuto metter piede nei seggi per controllare la regolarità dei voti. Po vi sono le voci secondo cui i coscritti hanno ricevuto un insperato giorno di permesso, in cambio del deposito in caserma dei certificati di nascita utili per organizzare un falso voto. Ma il rischio brogli si annida anche nelle urne mobili trasportate in aereo, autobus o automobili nelle più remote località del Paese. In quelle urne «si concentra un terzo dei voti, ma non abbiamo il permesso di seguirle con i funzionari del governo» - lamentavano ieri i portavoce dell’opposizione.
A far più paura delle mosse occulte sono quelle esplicite. Se brogli e manovre non bastassero i pasdaran sono pronti a scendere in campo per sgominare l’onda verde. Yadolla Javani, guida politica dei Guardiani della Rivoluzione ha già accusato «gli estremisti che hanno scelto un colore per il proprio movimento» di voler tentare una «rivoluzione di velluto» simile a quella che negli anni 80 fece cadere i regimi comunisti dell'Europa Orientale.


«Chiunque pensa di poter trasformare le presidenziali in una nuova rivoluzione di velluto - minaccia Javani sul sito dei pasdaran - deve sapere che i suoi tentativi verranno soppressi sin dall'inizio». Come dire abbiamo le armi e il potere e non vi riconosceremo, né vi concederemo la vittoria.

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