Gli aiuti di Bush non bastano: in America crescita rallentata

da Milano

L’assegno da 150 miliardi di dollari staccato dall’amministrazione Bush a favore dei cittadini americani e la crescita delle esportazioni grazie al dollaro basso, hanno tenuto nel secondo trimestre gli Stati Uniti lontani dalla secche della recessione. Ma l’allarme non è ancora cessato, come testimoniato peraltro dall’ultimo dato sulle richieste di sussidi di disoccupazione, ai massimi dall’aprile del 2003, e dal rallentamento dell’attività in un’area cruciale come quella di New York, al livello più basso dell’ultimo biennio. «I dati sul pil - ha commentato George W. Bush - non sono una grande notizia, ma sono incoraggianti. Alcuni mesi fa - ha aggiunto - si prevedeva che l’economia sarebbe rallentata nel primo trimestre, non cresciuta. Ma è accaduto l’opposto».
L’espansione del pil pari all’1,9% realizzata tra aprile e giugno è comunque confortante solo se confrontata con il claudicante passo del primo trimestre (più 0,9%) e con la frenata dell’ultimo quarto 2007, quando la locomotiva Usa è arretrata dello 0,2% (dato rivisto dopo l’iniziale stima di più 0,6%). Tuttavia, oltre a risultare inferiore alle attese degli analisti (più 2,3%), l’effettiva consistenza della crescita va valutata proprio alla luce del pacchetto di aiuti fiscali fortemente voluto dalla Casa Bianca per sostenere soprattutto le famiglie strangolate dal cappio dei subprime e, più in generale, un’economia in debito d’ossigeno. Con giugno, tuttavia, il piano di stimoli ha esaurito i propri effetti senza essere riuscito a correggere alcune abitudini innescate proprio dalla crisi. L’andamento delle spese private, da cui dipende oltre il 70% del pil Usa, riflette bene il fenomeno: l’aumento complessivo è stato dell’1,5%, ma gli acquisti di beni durevoli (cioè quelli destinati a durare più di tre anni) sono scesi del 3%. Un valore negativo, da sommare al meno 4,3% del primo trimestre, che sembra indicare una certa riluttanza degli americani ad affrontare spese di una certa consistenza, come per esempio l’acquisto di un’auto (meno 3% le vendite), anche in ragione del delicato stato di salute del mercato del lavoro, dove il rischio-licenziamenti resta alto e vanno ingrossandosi le file di quanti chiedono un sussidio (448mila nella settimana al 26 luglio scorso). Inoltre, ben lontana da una soluzione appare la crisi che ha travolto il mercato immobiliare. Gli investimenti residenziali sono crollati di un altro 15,6% dopo la contrazione superiore al 25% subita tra gennaio e marzo.
Per contro, l’ormai cronica debolezza del dollaro continua a dare una mano al made in Usa. Il maggior contributo alla crescita nel secondo trimestre è venuto dalla bilancia commerciale, con le esportazioni balzate del 9,2%, mentre le importazioni hanno accusato una flessione del 6,6%, come non accadeva dal 2001, per effetto dei ripetuti rincari dei prezzi petroliferi. Quanto alla dinamica dell’inflazione, l’indice ha segnato un netto ribasso a 1,1%, il valore più basso dal 1998, dopo il più 2,6% del primo trimestre.


L’indice core (al netto delle voci energia e cibo) ha invece evidenziato un rallentamento a più 2,1% dal precedente più 2,3%, rimanendo tuttavia al di sopra della fascia di tolleranza del 2% individuata dalla Federal Reserve.

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