Aiuto, tutti i romanzi sono diventati rosa

Leggono soprattutto le donne e gli scrittori si adeguano creando romanzi a prova di signora

Aiuto, tutti i romanzi sono diventati rosa

Un tempo dire che un romanzo era rosa significava degradare sia chi lo leggeva sia chi lo scriveva a un sottogenere per sciampiste. Per dire di un libro che era robetta, si diceva: «È un Harmony». Chi leggeva Liala, non si sarebbe mai messa a leggere Céline o Musil o Thomas Mann, tanto meno l'ingegner Carlo Emilio Gadda (già Alberto Moravia però andava bene), sia perché troppo difficili, sia perché troppo poco svenevoli e kitsch e, insomma, robetta per casalinghe sognanti.

Oggi però questa distinzione non regge più, per il motivo che tutta la narrativa è rosa, sia quella scritta da donne sia quella scritta da uomini, anzi più sono uomini più sono interiormente donne: l'immaginario femminista ha vinto su tutta la linea romanzesca, sono tutti dei #metoo. Come nella vita, d'altra parte: una volta c'erano le mamme e i papà, oggi ci sono mamme e mammi (a prescindere che siano una coppia etero o una coppia omo, anche quando ci sono due padri sono sempre due madri).

D'altra parte basta guardare le classifiche di vendita, e si sa che le classifiche dei romanzi le determinano le donne (e non ho mai capito perché piuttosto i giornali non facciano le classifiche delle lavatrici, sarebbero più utili), mentre a scrivere romanzi sono o donne o uomini-donne, un uomo-uomo non c'è neppure a pagarlo (perché li pagano per essere donne). E non parlo mica di autori tipo Luca Bianchini, anzi chiamiamolo la Bianchini (con tutti i suoi Instant love, Io che amo solo te, Nessuno come noi, Ti seguo ogni notte, ma segui tua sorella), tanto meno della Massimo Gramellini. Piuttosto di ogni scrittore italiano di successo (successo provvisorio, beninteso, nessuno durerà, ma cosa gliene frega a questi di durare) che passa per essere letteratura (il Midcult di Dwight MacDonald, per intendersi).

Per esempio prendiamo la Paolo Cognetti, vincitrice dell'ultimo Premio Strega con Le otto montagne (Einaudi) dove il cuore batte per padri e figli e natura e avventurette amorose per duecento pagine. Genere: Harmony montanaro (per travestire il genere, con Sofia veste di nero e Manuale di ragazze di successo in effetti era troppo esplicito). Non è rosa solo il romanzo, è ambientato pure nei pressi del Monte Rosa. Più montanaro e più sdilinquito perfino della signora barbuta con bandana Mauro Corona, la quale anche lei, scriverà mica libri non rosa? Tra scoiattoli, marmotte, tramonti, «voci nel bosco», «voci di uomini freddi», senza considerare il suo libro più emozionante, il romanzo che ha fatto piangere pure Daria Bignardi, Storia di Neve, vicenda romanticissima e tristissima di una ragazzina, Neve, che nasce a Erto, luogo caro a Corona, e non muore di gelo (peccato, almeno la storia finiva a pagina uno), in compenso si muore di noia, ma tanto lo leggono le donne, che quando leggono non si annoiano mai.

Ma in classifica, tra i romanzi che vanno di moda, dove pescate pescate, non c'è un uomo manco a pagarlo (li pagano per essere femmine, non per altro). Prendiamo Paolo Giordano, altra narratrice molto letta, la Paola. Il suo ultimo romanzo, Divorare il cielo (potrebbe essere un titolo della Fabio Volo o della Federico Moccia, comunque sempre Einaudi, la casa editrice che non a caso non volle pubblicare Nietzsche perché troppo superuomo) è del genere Harmony agricolo. Sdilinquite storie sentimental-provinciali di ragazzi ambientate in Puglia, il rifiuto della società borghese (la rifiutano tutti, però poi stanno sempre in giro nelle metropoli a presentare i libri), la masseria che «attrae Teresa come il miele velenoso attira la mosca dell'ulivo» (povera Teresa!). In realtà sembra uguale al romanzo con cui la Nicola Lagioia vinse anche lei il Premio Strega (Riportando tutto a casa, ancora Einaudi, manco a dirlo) solo che la Lagioia non ha più tempo di scriverli da quando è diventata direttrice del Salone del libro di Torino, troppo impegnata, quindi a coprire il filone sentimental-agricolo-pugliese è arrivata la Giordano.

E sarà mica un uomo la Marco Balzano? Anche lei passata dallo Strega con Resto qui (magari fosse rimasta lì, non ce l'avremmo qui noi a riempire i banchi delle librerie, comunque è Einaudi, tranquilli). Che, a scanso di equivoci, ha scelto perfino una voce narrante femminile. Sentite che incipit: «Non sai niente di me, eppure sai tanto perché sei mia figlia. L'odore della pelle, il calore del fiato, i nervi tesi, te li ho dati io. Dunque ti parlerò come a chi mi ha visto dentro». Neppure a Silvia Ballestra quando ha scritto Nina (più che un romanzo un travaglio) era riuscito un passaggio così materno e uterino. Se me la dicesse mia mamma, la frase del non sai niente di me perché mi hai visto dentro eccetera, non la farei neppure finire, le risponderei: non so niente di te e non voglio saperlo, addio.

Tra i bestseller spicca anche Matteo Bussola, con La vita fino a te (non li ho scelti apposta, giuro, ma anche questo è Einaudi). Andrebbe bene, la vita fino a lei, solo che quando ha incontrato lei si è messa a scriverla, la Bussola, e giustamente essendo un libro femminile gliel'hanno pubblicata subito. Prima aveva scritto altri due grandi successi: Notti in bianco e Baci a colazione. La Bussola osserva gli amori sbirciando dal finestrino di un'auto, seduto al bar, osservando i passeggeri del treno. È il genere Harmony guardone. Bussola dichiara: «Il tema del libro è l'amore, anzi tutti gli amori. E ve lo dico io: non so se scriverò altri libri in vita mia, probabilmente sì, magari no». Ecco, magari no mi sembra un'ottima idea. Ma probabilmente sì. Perché come scrive nell'introduzione lui ha «un setaccio nello sguardo». Guarda e setaccia e trova «la bellezza lì nel setaccio, che affiora. Mentre la vita che ti chiama è tutto l'amore da scrivere, ancora». Mi verrebbe da pensare quello che pensava Primo Levi quando scriveva dei lager: se questo è un uomo.

E mi viene una voglia incontenibile di andarmi a rileggere De Sade, solo che centoventi giornate di Sodoma non mi bastano per riprendermi, a Sodoma bisogna restarci in vacanza almeno dieci anni. E senza spostarsi da lì nemmeno di pochi chilometri, altrimenti si rischia di finire a Gomorra, dalla Saviana.

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