Giorgio Albertazzi appare frastornato, appena reduce da Lione dove ha trionfato nel ruolo dellimperatore Adriano nel famoso allestimento di Scaparro, il nostro massimo interprete è stupefatto delle differenze politiche e culturali fra noi e i nostri cugini dOltralpe.
Perché? Gli chiediamo celando a malapena la nostra sorpresa dato che Albertazzi è uno dei rari uomini del nostro tempo che da anni continua a regalarci certezze, a indicarci i pericoli che corriamo, a studiare concrete possibilità di intervento per migliorare la nostra condizione di esseri pensanti.
«Sarò impertinente, anzi dirò di più. Corro il rischio di essere frainteso ma è innegabile che il nostro concetto di democrazia è superato».
In che senso, scusi?
«La democrazia si è mutata, ai nostri occhi, in un utensile arrugginito non dalluso ma dallabuso compiuto ai danni della parola più bella del mondo. Infatti a casa nostra qualsiasi cambio di governo si risolve nella parola più deleteria del vocabolario, lammucchiata, che a Parigi come a Londra non esiste».
Come e perché?
«Allestero il partito che ha perso se ne va smontando baracca e burattini. Mentre da noi come si sa, avviene il contrario. E in queste condizioni sfido perfino Candide, il campione della credulità al potere, a ritrovare la fiducia perduta».
Non cè modo di evadere da questa impasse più che incresciosa addirittura grottesca?
«Come si fa a governare, dico io, eternamente circondati dalle stesse facce, ostacolati dai cadaveri della legislazione precedente, inibiti nelle scelte da parte di chi, di riffa e di raffa è sempre presente nella barcaccia delle illusioni che è poi lEmiciclo di Palazzo Chigi?»
Come si giustifica il suo amore per la Francia e lInghilterra allora?
«In Francia, con la Repubblica presidenziale, questo rischio è cancellato hic et nunc. E in Inghilterra la stessa casa reale è garante dellalternanza nella conduzione della cosa pubblica. Si ricordi che perfino Churchill, che pure aveva vinto la guerra, a un certo punto fu costretto a ritirarsi a vita privata. Non le basta?».
Torniamo a noi. Oggi, a poche ore di distanza dal crollo di Prodi, cosa prevede per questa Repubblica della munnezza?
«Sono pessimista. Perché, anche in caso di elezioni e di un eventuale successo del centrodestra, la nuova compagine si troverà coi bastoni tra le ruote da parte di unopposizione inestirpabile in alcuni ben noti centri di potere».
Allude a qualcosa in particolare come alle recenti nomine al vertice del Teatro di Roma?
«Sulla carta, lascesa al potere di un funzionario come Giovanna Marinelli non mi dispiace. Anche perché la signora si è tutelata nominando al suo fianco un consulente del calibro di Gigi Proietti. Un teatrante che di per sé è già una garanzia. Io al suo posto non so se avrei fatto altrettanto. A suo tempo, infatti...».
Infatti?
«Rifiutai la proposta di averne uno. Nella persona di Giorgio Barberio Corsetti che, se avessi acconsentito, sarebbe stato promosso ipso facto direttore dellIndia, la seconda casa del Teatro di Roma».
Come mai?
«Ero il direttore dellente capitolino che, oltre allArgentina, dispone di uno spazio come lIndia. E io volevo che le mie scelte fossero allinsegna dellorganicità. Senza mediazioni di repertorio o antipatici scontri estetici. Il direttore, secondo me, deve essere unico. Perché, nonostante lappoggio di un manager generale, deve coordinare personalmente lattività di tutti i teatri gravitanti attorno a Roma».
Se no si cade nellammucchiata?
«Se ci devessere una confusione simile, grazie, ma io dico di no. E mi lancio a capofitto nellorgia che ha ben altre patenti di nobiltà».
Insomma, per il futuro, non intravede nessuna via duscita?
«Il diritto in Italia è solo formale perché la realtà lo trasforma subito in una cosca. Dovè la democrazia nobilmente esercitata nella Grecia antica da Pericle o la Lex Romana propugnata da Adriano quando amministrava da illuminato i popoli soggetti al suo incontestabile arbitrio?».
Non vede proprio una via duscita nemmeno da parte dei radicali coi quali per anni si è identificato?
«Del partito di Pannella ho condiviso il momento esaltante delle battaglie civili sul divorzio, linsofferenza verso la Chiesa militante e qualsiasi autorità regia. Per non parlare del sostegno a favore delleutanasia. Sono rimasto amico di tanti di loro, a cominciare dalla Bonino, anche se col tempo il mio slancio ideale si è esaurito. Nonostante con loro avessi ritrovato uno spirito di corpo di cui ora sento dolorosamente la mancanza».
Qualcosa di analogo a ciò che le capitò in gioventù quando aderì alla Rsi?
«Allora, pur convinto che avremmo perso la guerra, ero felice di aderire a una parte che, come la New Left americana, trascinava per le strade la battaglia a favore di alcune indilazionabili libertà civili. Nella Rsi vedevo un superamento del fascismo storico, unapertura verso il sociale, una finestra spalancata sul mondo».
E dopo? Si dice che Almirante a suo tempo labbia corteggiata a lungo...
«Verissimo. Ma io non accettai».
Perché?
«Pensavo che una presenza scomoda come la mia li avrebbe irrimediabilmente danneggiati. Dato che io sono uno che non chiede mai nulla».
Davvero? Proprio niente di niente?
«Non ho mai profittato della mia popolarità per fare del nepotismo. Lo chieda a mio fratello, uno straordinario montatore cinematografico che per lavorare è andato a stabilirsi negli Stati Uniti. Se cè una cosa al mondo che rivendico ad alta voce è il mio orgoglio. Se vengono a cercarmi, bene. Se no faccio a meno di tutto, è il mio credo. Ma non mi comprometto con la mediocrità».
Cui siamo condannati ab aeterno, mi par di capire...
«Limmobilismo divora il popolo italiano. Fatto ahimè di individualisti che spesso e volentieri precipitano nel fanatismo. È duro ammetterlo, ma siamo ingovernabili, come diceva Mussolini».
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