Ventun’anni per dirgli che è innocente. Ventun’anni trascorsi in prigione con una condanna all’ergastolo. La vita finita. «Fine pena mai». Lo accusavano di aver ucciso due carabinieri il 26 gennaio del 1976 ad Alcamo Marina, in Sicilia. Singolare. A scagionarlo, alla fine, è stato proprio un carabiniere, brigadiere in servizio al reparto antiterrroristico di Napoli. Avrebbe ammesso che i sospettati furono costretti a confessare sotto tortura.
È scoppiato a piangere Giuseppe Gulotta quando il giudice ha letto la sentenza. «L’incubo è finito», balbetta con voce rotta. Era un ragazzo quando decisero, in nome del popolo italiano, che era colpevole. «La prima cosa che ho fatto è stata quella di sedermi, non mi reggevo in piedi. Ci siamo abbracciati con mio figlio William, che ha 24 anni, e con mia moglie Michela, senza parlare». Lui ne ha 55.
Nove processi, rinvii procedurali, le sbarre a scandire giorni, ore, minuti e secondi. Fino a all’ultimo barlume di speranza. Due anni fa la corte di Cassazione aveva detto sì alla revisione del processo. Da quattro lui beneficiava del regime di semilibertà. E lo stesso procuratore generale aveva chiesto la sua assoluzione. Altri due condannati, Gaetano Santangelo e Vincenzo Ferrantelli, latitanti in qualche paese sudamericano sarebbero a loro volta sarebbero pronti a chiedere un nuovo processo. Un altro non potrà più farlo: si è ucciso in cella.
La «strage di Alcamo», la battezzarono i giornali. Forse la ricordano solo i protagonisti: parenti delle vittime, imputati, amici, colleghi.
Le vittime si chiamavano Carmine Apuzzo e Salvatore Falcetta: quella sera gli assassini entraronoi in caserma fondendo la serratura con una fiamma ossidrica. I carabinieri, appuntati di 19 e 35 anni, furono trovati morti, massacrati a colpi di pistola. E giustizia, si scopre oggi, non è stata fatta.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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