Luca Telese
da Roma
Un leader che non si dimette, un ministro che lo fa: un partito, Alleanza nazionale, che entra in fibrillazione. Dopo la caporetto del fronte referendario, Gianfranco Fini parla in modo netto e inequivocabile, tiene il punto, non fa autocritiche, ribadisce la giustezza della propria scelta, si mostra sicuro: «Ho la certezza di avere agito secondo coscienza - ha spiegato il leader di An -, non mi sono mai chiesto se votare sì fosse politicamente utile, ma se fosse moralmente giusto». Di più: «An ha fatto una scelta che considero giusta - dice -, ha lasciato liberi i suoi iscritti». In vista dellesecutivo previsto per domani, rispondendo a chi chiede «cosa si attenda», il vicepremier risponde quasi serafico: «Nulla, assolutamente». E aggiunge: «Se avessi imposto ad An la mia scelta potrei capire le ragioni di quelli che dicono: ma perché. Insomma, il leader non intende farsi processare. Lipotesi delle dimissioni? «Non ci penso per niente: questo è poco ma sicuro» ha detto il numero uno della Farnesina ai giornalisti a Lussemburgo alla domanda se stava pensando di dimettersi dopo che i referendum stanno per essere invalidati per mancanza del quorum.
Alemanno si smarca. Eppure, malgrado ciò, il primo effetto della débâcle del fronte del Sì si è abbattuto fragorosamente, e non poteva essere altrimenti - dato il pronunciamento controcorrente del leader - su An. Il mancato quorum, infatti, ha fatto saltare il coperchio di una pentola che borbottava già dalla settimana scorsa, dopo lintervista-choc di Fini al Corriere della Sera, quella in cui il ministro degli Esteri aveva giudicato «diseducativo lappello al non voto». Adesso i suoi colonnelli - divisi sul futuro, ma uniti nellappello allastensione - gli presentano il conto. E così sul futuro del leader fino a ieri indiscusso di An si addensa qualche nube: il redde rationem interno - per esempio - che avverrà durante lassemblea nazionale del 2 e 3 luglio. Ma anche i primi grandi smarcamenti in vista di una possibile battaglia per la successione. Il primo, il più clamoroso, è quello di Gianni Alemanno, che si è dimesso da vicepresidente del partito, invocando autocritica e discontinuità per tutti i dirigenti, a partire dal vertice: «Non mi permetto di giudicare le scelte di Fini», spiega il ministro delle Politiche agricole che però avverte: «Non si può far finta di niente, oggi è evidente la frattura fra una base che si è impegnata per un astensionismo attivo e un vertice che non è riuscito a interpretarla». Ora, aggiunge Alemanno, «occorre aprire subito un ampio dibattito per non arrivare a unassemblea lacerante. An - sottolinea - si deve mettere in discussione nel vertice, spero che il partito lo comprenda». E sulla stessa è Alfredo Mantovano che ha lasciato lesecutivo nazionale di An chiedendo «un confronto di sostanza nel partito». Anche Publio Fiori pretende da Fini «una seria riflessione» e leuroparlamentare e sindaco di Lecce Adriana Poli Bortone parla del «fallimento di unintera classe politica di An».
Ma è inutile dire che le dimissioni di Alemanno sono forse il primo passo compiuto senza luniforme da colonnello, per navigare in mare aperto. In questi giorni il ministro disegnerà un profilo politico netto: quello di una leadership che si inserisca in un contesto «ratzingeriano», che riesca a coniugare radicalità e riferimento ai valori tradizionali.
Destra protagonista in attesa. Intanto la componente più forte del partito, Destra protagonista, riunisce oggi a Montecitorio i suoi parlamentari. Ieri Ignazio La Russa era molto attento a gettare acqua sul fuoco, e a negare lipotesi di un «ribaltone» interno: «Non si tratta di mettere in discussione la leadership di An - avvertiva - ma di trovare le convergenze necessarie per far crescere una destra sempre più moderna. E allo stesso tempo, se si vogliono superare le correnti interne, individuare anche le regole sono da rispettare tassativamente senza dover far ricorso al correntismo». Sintetico Maurizio Gasparri: «La leadership non si discute, ma non si danno più deleghe in bianco».
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