Questa volta pensò che non sarebbe caduta. Password. Alice digitòamemorialaformula della funzione z, non proprio come l’avrebbe scritta Riemann, ma quasi: Zeta(s) = 1 + 1/2 alla s + 1/3 alla s + 1/4 alla s +.... Era da qui che comunque doveva partire. Il Gatto lo diceva sempre, tutte le volteprimadi eclissarsi, lasciando quello strano ghigno che solo i più sprovveduti potevano confondere con un sorriso: «La risposta alle tue domande è lì». «Non sono sicura di arrivarci». «Certo che ci arriverai. Non hai che dacamminare». All’inizio vedeva solo ombre. Lente, lentissime. Ogni tanto qualcuna inciampava e si dissolveva. Erauntemporallentato, flussi di immagini e informazionitroppo pesantiperunmondo che ancora non conosceva la velocità. Il Gatto disse che questo era il passato, il tempo remoto. Ora Alice avrebbe solo dovuto lasciarsiandaree correre. Inunattimoavrebbe raggiunto il presente. E lo vide.
La strada enorme, larga, immensa come il boulevard, la avenue o il corso centrale della capitale delle capitali del mondo. Le architetture si confondono. Luci di grattacieli gemelli e immense ogiveaformadi cetriolo, i mattoni rossi della città proibita e ragnatele di canali, campi e campielli. Vetrine lussuosissime, con loghi fluorescenti che meravigliano gli occhi, e ti insidiano, ma senza merci. Qui nessuno compra. È strano, sussurra Alice, tanto sfarzononserveneppureper pagare le tasse. Non ci sono commessi e scatole. I prezzi sono espressi in vecchie monete e soprattutto sul pavimentocisono terrazze di polvere alte tanto così. Saranno almeno sette o otto anni che in queste cattedrali non entra più nessuno. «Non ne sarei tanto convinto, ragazzina », ragiona un soggetto a forma di bruco, che senza dubbio assomiglia a un bruco tranne per la testa paglierina. Il bruco sta lì ad osservare Alice mumblemando su quale possa essere il valore di quella ragazzina finta biondae lasua funzionecommerciale. Accanto al bruco c’è un pomodoro, elegante, vestito di rosso, con un’aria molto cult, da designer prêt-à-porter.
«Chi siete?», chiede Alice.
«Io sono Bill il Bruco».
«E io Steve la Mela».
«Ma tu non sei una mela», ridacchia Alice.
«No? E cosa sarei secondo te, un pomodoro? ».
«Oqualcosa che ci assomiglia».
«Se esiste una Mela quella sono io, perché io sono l’idea della mela. Se assomiglio a un pomodoro vuol dire che la mela è un pomodoro».
«Un ragionamento che dal punto di vista lessicale potrebbe avere le sue ragioni», interviene il Bruco.
«Ma tu sei qui per comprare qualcosa, ragazzina».
«Volevo, ma non c’è nulla».
«È solo perché sei finita nella zona della grandeillusione. Qui sopravvivono solo gli uominicartolina. Se vuoi a c q u i s t a r e qualcosa devi andare nel quartiere dei robivecchi e dei rigattieri».
«Perfetto. Io stavo cercando proprio un vecchio vinile».
«Un vinile?».
«Un vinile».
«Allora ti può essere utile proprio proprio il qui presente pomo d’oro. Non è vero Steve?».
«E allora andiamo», dice Alice.
«Ma dove si va?».
«La strada sono io», affermail Bruco.
«E anche la via», suggerisce la Mela.
«Non ci sono altre strade o altre vie?», chiede Alice.
«Direi proprio di no», scuote la testa il verme, pardon il bruco, paglierino.
«E perché tutte le strade sei tu?», domandala ragazzina indispettita da tanta presunzione.
«Come diceva qualcuno par e c c h i o tempo fa: in principio era il verbo e il verbo era presso di me».
A l i c e non ha voglia adesso di giocare con la legge dei numeri primi e si incammina a testa bassa seguendo il Bruco e la Mela. Non certo facile. A ogni passo Alice inciampa o viene urtata, seppellita, caricata dagli uomini cartolina. È come andare alla Mecca il giorno in cui Maometto avrà raccattato presso di sé tutte le montagne. Questi qui sono ovunque. Alcuni, quelli con le alette agli angoli della testa cartolina, sfrecciano lasciando dietro di sé una lungascia. Altri appaiono all’improvviso, istantanei, come un pensiero che si manifesta intemporeale. Altri sonoammassati ai bordi delle strade, comepiccoli mucchietti o vasti massicci abbandonati lì da anni e anni. La cosa più strana è che a volte queste pile di uomini cartolina inermi, spouff, scompaiono. Alice teme che ci siano da qualche parte grandi praterie di uominicartolina, lettereelettere cestinate, cancellate, persi in qualche frammento primordiale della memoria più remota. Tutto quello che gli uomini si sono detto e scritto dall’inizio della nuova era. Fac-simili per rinnovare passaporti, circolari ministerialimailettedanessuno, baci segreti e passionali,appuntamenti appena abbozzati, senza più risposta: che fai stasera? Test per riconoscere di che anno sei, barzellette che hanno fatto il giro del mondo e poi qualcuno le ha rivendute come nuove, lettere d’amore scadute, curriculum inviati in fotocopia a tutte le aziende del mondo. Annunci di qualcuno che è nato e qualcun altro che è morto. La foto nuda di un’amante cancellata il giorno prima che la moglie andasse a sbirciare nella posta da eliminare. Chissà tutto questo dove è finito. Dove sono le storie, i racconti, i pezzi di vita che gli uomini cartolina hanno trasmesso, recapitato e poi dimenticato. Frasi scritte da chi magari è morto e di lui restano solo questi frammenti di passato. Esiste unparadiso delle parole perdute? Alice vorrebbe chiederlo al Bruco, ma ha paura che non ci sia risposta.
È Mela invece a parlare. «Ecco il mio negozio. Qui c’è tutto quello che ti serve». Tira fuori una scatoletta fucsia e connette un cavetto alla presa del negozio. Alice viene sopraffatta da un rosario di note e melodie che si sovrappongono l’una all’altra. «No, così non va bene», dice la Mela. «Dimmi esattamente cosa vuoi ascoltare». «Non so. C’è un’opera rock chesembra sovrapporsi perfettamente al film di animazione che il padre del topo ha pensato per me». «Stai parlando di quel vecchio imbroglione, l’ultimo avatar di Esopo. Come si chiama questa musica?». Alice dice che non ricorda esattamente il titolo, maha a che fare con la luna, con il suo lato oscuro. «Non credo sia Guerre Stellari,ma se vuoi qui abbiamo le due trilogie. Quanti soldi hai?». «Soldi? Veramente io non ho soldi».«Neppurenovantanove centesimi? Sei un’imbrogliona. Sei una ladra. Chiamerò le guardie della regina di cuori». E la mela pomodorocomincia astrillare, strappandosi il barbone verde: «Un pirata. Allarmi, un pirata ». Alice scappa via, tirando giù collezioni di file musicali, unNessundormadi Pavarottiaccompagnatodal coro dello Zecchino d’Oro, la versione omofobica della canzone di Sanremo della Tatangelo che funziona solo se ascoltata al contrario, lo Stabat Mater di Paris Hilton e tutte le versioni di Candle in the WindcheElton Johnhadedicato ad ogni donna minimamente famosa che muore. Alice è persa e sente solo strillare i violini.
Poi un fischio con due dita. «Fiuuuuu.Ehi biondina. Corri qui». Alice vede un uomo che non ha superato i trent’anni che le indica una porta in un sottoscala. È un bugigattolo con una miniera di ragnatele che si intersecano e sembrano confluire in nessun punto. L’uomo, che dalontanosembravasemplicemente giovane, ha la testa di un mulo. «Ecco, qui stai al sicuro». Alice lo guarda. Non sapendo bene quale animale sia, un uomo, un asino o un cavallo. L’altro continua a tirare dischi, cassette e compact disc sulle ragnatele. E continua a canticchiare istupidito le strofe della stessa canzone.
Puoi distinguere un campo verde
da un freddo binario d’acciaio?
Un sorriso da un velo?
Pensi di essere capace di distinguerli?
E ti hanno portato a barattare
i tuoi eroi con dei fantasmi?
Siamo solo due anime perse
che nuotano in una boccia di pesci
Anno dopo anno
correndo sempre sul solito terreno,
cosa abbiamo trovato?
Le stesse vecchie paure
Vorrei che tu fossi qui
«Questa musica io la conosco», esclama Alice.
«È possibile. Credo sia abbastanza famosa».
«Come ti chiami?».
«Syd».
«Cid come el Cid Campeador».
«Ti sembro un eroe spagnolo? Sono Syd il pazzo diamante. Equesta musica parla di me».
«Forse ti stavo cercando. Tu sei la mia simmetria. Eri il pezzo mancante di quel gruppoinglese. Ma devi essere morto e poi per anni sei rimasto in un ospedale a guardare il soffitto».
«Ti sembro morto? Quello che guardava il soffitto era il mio avatar. E credo che lui un paio di anni fa abbia perso energia fino a scomparire. Abbiamo solo fatto uno scambio. Lui voleva andare di là, in quello che gli umani credono sia il reale. E io sognavo di stare qui, nell’immaginario. Non so come se la sia cavata lui a guardare il soffitto, io da questa parte ho liberato la musica. Sono il signore dei pirati, il re dei baratti clandestini, dove il diritto d’autore si paga in piacere e non in moneta. Un re dei truffatori. E visto che tu non hai soldi per pagare...».
«Conosci il lato oscuro della luna? ».
«Soacosa ti riferisci. È la musica dei miei amici. Unaleggenda racconta che The Dark Side of the Moon corrisponda perfettamente al cartone animato di Alice nel paese dellemeraviglie. Il suono cupo accompagna la tua caduta nel buco, il risveglio dei fiori è sottolineato dai violini. Ho sentitoquesta storia,masuppongo sia solo un caso. Comunque nulla vieta che tu possa sceglierla come colonna sonora della tua vita. Eccola qui».
Alice a questo punto provò il breve desiderio di tornare a casa. Fu un attimo. E questa volta cadde. Inghiottita da un gorgo a ritroso, sopraffatta dall’estetica di Huysman. Il buio. Alice pensò alla formula z dei numeri primi (qualcosa ormai stava rendendo più facile la navigazione). Quando tornò la luce vide un bambino, una sorta di folletto vestito di verde, che si guardava allo specchio. Solo che aveva il volto di un vecchio e nascondeva un uncino. Qualcosa nella sua avventura non tornava. «Credo di aver sbagliato indirizzo», sospirò.«Magari no». Qualcuno alle sue spalle aveva parlato. Il suo volto e quel vestito scuro da perfetto professore inglese ricordavano ad Alice il sapore di una gita in barca sul lago.
«Mi riconosci?».
«No».
«Meno male».
L’uomo continuava a sfogliare fotografie di una bambina a volte scalza e vestita di stracci, altrecome un confetto, come una bambolina di porcellana, ounascolaretta da manga giapponesi.
«Dicono sia tu».
«Non ha i capelli biondi».
«È un particolare. E comunque credo che i tuoi siano tinti».
«Chi sei?». «
Sono il reverendo Charles Lutwidge Dodgson. Ma tu puoi chiamarmi Lewis».
«Ti piace quella bambina?».
«Neppure questo è importante. Quello che hai visto allo specchio è ciò che accade ai bambini che non vogliono crescere. Qui è una tentazione molto forte. E così finisci per diventare il tuo nemico. Peter e Uncino sono l’uno lo specchio dell’altro.Dueaborti. Un bambino che non vuole crescere e un vecchio che non sa invecchiare. È la maledizione di noiche ci raccontiamo storie. Lo vedrai anche tu. Bisogna avere la saggezza del vecchio cieco che sta lì per non confondere i due cieli. Ma lui ha occhi che noi non abbiamo».
«Sei il vecchio greco».
«Lo sono stato. Diciamo che lui è l’archetipo di tutti i miei avatar. Ora posso dirti che sono solo uno stanco argentino che ha letto troppo. Ma non sono qui per questo. Devo solo invitarti per una partita di croquetcon la regina di cuori».
«Serve la parola d’ordine? ».
«Non quella stupida password che hai scelto tu».
«Non ti piace?».
«Che noia. Anche tu stregata da quel romanzo di formazione sui numeri primi».
«Stregata dall’ipotesi di Riemann».
«Mai corroborata».
«Giustifica il vostro mondo».
«Ma capovolge il vostro. Riemann guarda i numeri primi allo specchio e suppone che un ordine ci sia».
«E tu non ci credi?».
«Se Dio non gioca a dadi».
«E se ci gioca e bara?».
«Allora, fanciulla mia, tutto si spiega».
Alice da anni non indossava quel ridicolo vestitino azzurro, con il fiocco bianco e le ballerine ai piedi. Era molto più simile alla ragazzina della foto, maliziosa, provocante, sensuale. Quando vide la regina di cuori non fu come guardarsi allo specchio, mala riconobbe. Immediatamente. Era una carta da gioco, certo, ma identica al disegno classico di Alice. Quello di Sir John Tenniel.
«Ecco la ladra».
«Non sono una ladra».
«Sbaglio o quello che sto ascoltando è The Dark Side of the Moon?». «È il regalo di un amico».
«Qui i regali si chiamano furti».
«Ma non dovevamo giocare a croquet?».
«Così ti ha detto il cieco? Non ho mai capito che razza di gioco sia il croquet. Tutt’al più qui si gioca a Quidditch».
«Quidditch? Mai sentito».
«È un gioco di magia».
«Con le carte?».
«No, con le scope. Ma ora non mi interessa. Non sono qui per giocare, ma per tagliarti la testa».
«La testa? Non mi sembra il caso. E poi cosa ti ho fatto?».
«Seiunfalso. Piuttosto rozzo, se devo essere sincera. Ho visto di meglio. E a tutte ho tagliato la testa».
«A tutte?».
«Certo. Alice nel paese dei numeri. Zac. Alice nel paese dei quanti. Zac. Eat Me, Drink Me di Marilyn Manson. Zac. Alice dei Perigeo. Zac».
«Perigeo. Anche questi mai sentiti».
«È un gruppo rock progressive italiano dei primi anni ’80. E ho tagliato la testa anche a due giapponesi che hanno osato trasformarmi in un manga».
«Zac Zac».
«Appunto Zac. E ora tocca a te».
«Non puoi farlo. È il giorno del mio non compleanno».
«Non c’è nessuna legge che lo vieta».
«C’è. L’ho letta».
«Postilla. La legge del non compleanno non si applica nell’anno delle Olimpiadi».
«Questa te la sei inventata adesso».
«Appena importata dalla Cina. E a prezzi stracciati».
«Voglio un processo».
«No»,disse la Regina.
«Primala sentenza, poi il verdetto».
«È una stupidità», esclamò Alice.
«Che idea d’aver prima la sentenza!».
«Taci!», gridò la Regina, tutta di porpora in viso.
«Machetacere!», disse Alice.
«Tagliatele la testa!», urlò la Regina con quanta voce aveva. Ma nessuno si mosse.
«Chi si cura di te?», disse Alice.
«Tu non sei che la Regina d’un mazzo di carte».
«Ti pare poco? E tu, Alice, senza lo specchio, dimmi: chi sei?».
Zac.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.