Alitalia-Air France, vola la speculazione

Il sindacato del personale di terra: «Per l’Italia una doppia fregatura»

Paolo Stefanato

da Milano

Le vie delle compensazioni internazionali sono fantasiose e infinite. Se più di vent’anni fa il governo italiano regalò la nuova zecca alla Tunisia in cambio della liberazione di alcuni pescherecci di Mazara del Vallo, non deve stupire più di tanto che l’Alitalia diventi merce di scambio con la Francia nell’ambito di una partita energetica. Quello che sorprende, piuttosto, è che l’Alitalia venga considerata praticamente in bancarotta, e che un suo accollo da parte di Air France-Klm sia ritenuto un disvalore tale da potere essere barattato con un freno agli obiettivi di espansione dell’Enel su Suez.
Non è una notizia, (per ora) è una voce riferita dal quotidiano Le Parisien e subito smentita dal ministero dell’Economia francese, che della compagnia d’Oltralpe è il primo azionista con il 18% del capitale. Immediata, comunque, la reazione alla Borsa italiana, dove il titolo Alitalia, tra scambi vorticosi che hanno sfiorato il 2% del capitale, si è impennato di oltre il 5 per cento. Qualcuno si posiziona in vista di prossimi concambi? No: si tratta di un titolo speculato e inaffidabile, che vola o sprofonda al primo stormir di fronde. Pochi i commenti; centrato quello del Sult - peraltro uno dei sindacati con maggiori responsabilità nella situazione attuale della compagnia - che ha detto, senza mezzi termini: «Sarebbe una fregatura. Doppia: per l’Alitalia e per l’Enel».
Un passo indietro è necessario. Tra le due compagnie esistono dal 2001 intese a più livelli: l’alleanza in SkyTeam, che permette una completa integrazione dei collegamenti; l’esercizio comune dei fasci di rotte tra Italia e Francia, operati con doppio codice e con suddivisione dell’attività secondo gli aeroporti; un incrocio azionario del 2%, confermato da Parigi anche nel recente aumento di Alitalia, che prevede la presenza reciproca dei due presidenti nei consigli di amministrazione. Già l’ex amministratore delegato di Alitalia, Francesco Mengozzi, quattro anni fa parlava di una confluenza tra le due compagnie «alla fine di un percorso». Quando, poi, c’è stato qualche tentativo di accelerazione, Air France ha sempre puntualizzato, per bocca del suo presidente Jean-Cyril Spinetta: «La fusione ci sarà, ma quando lo decideranno i consigli. Noi aspettiamo che Alitalia sia risanata». Alitalia risanata non è, e l’obiettivo del piano industriale di Giancarlo Cimoli, che era di riportarla all’utile nel 2006 (senza partite straordinarie), è ormai svanito. Cedere Alitalia prima di un suo ritorno in bonis sarebbe qualcosa di simile a una svendita e a una resa da parte del governo italiano, che tuttora controlla il 49,9% della compagnia.

Va poi ricordato che una sorta di «patto di scambio» tra Italia e Francia, in questo ambito, si è già delineato: perché al momento di un’eventuale fusione, l’Italia saprà far pesare adeguatamente la sua necessità di sostituire i vecchi Md80 che oggi rappresentano la maggioranza della flotta di breve-medio raggio. Un grosso ordine a Airbus si rifletterebbe senz’altro sulla considerazione dei francesi per la nostra compagnia.

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