Alitalia, mezzo governo vuole la testa di Cimoli

Il vicepremier: «Il gruppo cerchi un partner fuori dalla Ue»

da Milano

Tutti contro Cimoli. Si allarga il fronte, all’interno e fuori dal governo, che attribuisce al presidente e ad dell’Alitalia la responsabilità del fallimento del piano industriale, il disastro dei conti e il crollo in Borsa (dopo il meno 10,4% di mercoledì, ieri il recupero è stato dell’1,3%). Esponenti di primo piano, tra cui quattro ministri, chiedono il suo allontanamento. La voce più autorevole intervenuta nel dibattito è quella del vicepresidente del Consiglio Francesco Rutelli, che ha chiesto un «riordino molto radicale» dei vertici della compagnia. Il ministro dei Trasporti, Alessandro Bianchi, da tempo fiero avversario dell’attuale gestione della compagnia, ieri si è detto certo che il tema sarà uno dei primi di cui discutere con il presidente del Consiglio al suo ritorno dalla Cina. Più duro ancora il ministro delle Infrastrutture, Antonio Di Pietro: secondo il quale «il crollo del titolo Alitalia non può che portare alla conclusione che chi sta al vertice non è in grado di gestire l’azienda». Se è così «i vertici devono essere rimossi per inadempienza, ma non possiamo permetterci di usare altri soldi dei cittadini per cambiare la dirigenza della compagnia». Niente superliquidazioni, dunque. Di Pietro ha ricordato l’avvicendamento dei vertici dell’Anas, con la sfiducia del governo e le successive dimissioni. Per Pecoraro Scanio (Ambiente) «dobbiamo aver coraggio di cambiare». Parole di accusa anche da parte del sottosegretario dell’Economia, Paolo Cento, dell’ex ministro Oliviero Diliberto, e di un esponente dell’opposizione come l’ex ministro Alemanno, che ha ammesso: «Adesso è dimostrato che i sindacati avevano ragione nel criticare il piano industriale». Dal fronte sindacale Luigi Angeletti (Uil) ha semplicemente osservato: «Il maggiore azionista dell’Alitalia, e cioè il governo, ci deve dire che idea ha». Per Guglielmo Epifani (Cgil) «l’Alitalia è a un passo dal punto di non ritorno». Mentre Claudio Genovesi (Fit-Cisl) osserva: «I vertici delle compagnie americane, in queste condizioni, di solito decidono di azzerarsi lo stipendio, come primo provvedimento di assunzione di responsabilità, oltre che di immagine». Altri luoghi, altri stili. Nessun commento invece dal ministro più direttamente interessato alle sorti della compagnia, Tommaso Padoa Schioppa, che nel Tesoro dello Stato di cui è titolare conserva il 49% del capitale; solo poche settimane fa egli ha rinnovato la propria fiducia a Giancarlo Cimoli.
Ma l’intervento più significativo è stato proprio quello del vicepresidente Rutelli, il quale ha invocato «una svolta nella strategia» da discutere al ritorno di Prodi in Italia. «Una volta definita la strategia industriale, serve un'alleanza che, secondo me, non dev'essere europea, perchè le compagnie europee sono nostre concorrenti: sarebbe più interessante con le compagnie dell'Asia, dal Golfo, fino all'Estremo Oriente». Alitalia ha già una serie di accordi con Air France che prevedono l’integrazione delle compagnie. Ieri Cimoli in un’intervista si è detto convinto che il modello di alleanza sia quello tra Air France e Klm, o quello Lufthansa-Swiss, e ha insistito nella sua convinzione che l’Alitalia possa ancora essere salvata.

La frase sulla quale riflettere è comunque proprio di Rutelli: «Non possiamo perdere il nostro vettore nazionale». Ma l’Alitalia riduce la sua offerta, e le centinaia di imprenditori in missione a Shanghai viaggiano soprattutto con Lufthansa e con Cathay Pacific.

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