Alitalia: più che piloti, kamikaze

Le lotte sindacali hanno spesso avuto dalla loro il consenso popolare: anche chi non era direttamente coinvolto nella vertenza poteva in qualche modo immedesimarsi con il lavoratore in sciopero, spesso icona dello sfruttamento e della povertà. Nel caso delle proteste e delle intransigenze dei dipendenti di Alitalia invece si respira un atteggiamento opposto: pressoché nessuna voce, anche fra chi di solito è più sensibile alle rivendicazioni del mondo del lavoro, sembra levarsi a sostegno delle numerose sigle sindacali che ieri hanno fatto paurosamente traballare la trattativa per mantenere in volo gli aerei della compagnia di bandiera. Anzi, non è difficile riscontrare fra la gente e nei forum di internet (interessante polso di una parte della società particolarmente informata) un misto di fastidio e di ostilità nei confronti di una categoria ritenuta, a torto o a ragione, scandalosamente privilegiata e immeritevole di qualsiasi corsia preferenziale che ne differenzi le sorti dalle numerose e «normali» altre situazioni di disagio lavorativo. Fatte salve alcune prese di posizione fortemente in odore di opportunismo politico la piazza attorno alle sigle in agitazione sembra vuota e minacciosa. Intendiamoci, non si può certo rimproverare ai sindacati Alitalia di cercare di fare ancora una volta il loro gioco: sinora la strategia ha pagato, eccome. In condizioni normali la saracinesca dell'hangar sarebbe stata abbassata da tantissimi anni, ma ogni volta, fra uno sciopero e un'agitazione, i soldi magicamente saltavano fuori e i dipendenti lievitavano in numero in modo quasi speculare a quanto diminuivano quelli delle compagnie aeree europee, sottoposte per tempo a drastiche cure snellenti. Logico da parte dei sindacati pensare che quello fosse il normale corso delle cose: strategia vincente non si cambia e quindi fede incrollabile nell'arrivo salvifico del consueto assegno di Pantalone. Quello che forse non è chiaro ai rappresentanti dei lavoratori divorati dalla voglia di ribaltare il tavolo è che, questa volta, la festa è davvero finita: chi vuol provarci per l'ultima volta è libero di fare la sua proposta e il governo non può più elargire niente, di più, se anche volesse e si inventasse procedure eccezionali a carico della collettività dovrebbe fronteggiare la disapprovazione dell'opinione pubblica non più disposta ad alcun tipo di favore. Del resto, se si può capire la forma mentis di un sindacato sempre abituato ad averle tutte vinte (anche durante la fallita trattativa con Air France non mancarono i toni ultimativi, eppure è passato quasi un anno e nulla è cambiato, perché mai comportarsi diversamente questa volta? Perché preoccuparsi di più degli ammonimenti di Scajola rispetto a quelli di chi lo ha preceduto?) è invece impossibile trovare qualsiasi fondamento logico perché ai lavoratori di Alitalia debba essere accordato un trattamento di classe diversa rispetto a quello di qualsiasi altro lavoratore: lo spirito di solidarietà è sacrosanto, ma deve essere riservato all'imprevisto, al rovescio improvviso e non preventivabile. I lavoratori di Parmalat, ad esempio, niente sapevano delle frodi che di nascosto i vertici aziendali stavano realizzando: logico quindi che alla scoperta del disastro si dovesse fare il possibile per salvaguardare la continuità aziendale di un'azienda che, dalla sera alla mattina, si ritrovò in ginocchio. Non è certo questo il caso di Alitalia: nessun’altra azienda è stata più chiacchierata, scrutata, analizzata di questa. Tutto si può dire tranne che i lavoratori non fossero al corrente dello stato dell'arte della trattativa, i penultimatum potrebbero riempire interi volumi e nessuno, ma proprio nessuno dei suoi dipendenti è in condizione di poter dire di aver rifiutato qualche proposta di lavoro alternativa perché gli si erano stati ingannevolmente prospettati scenari rosei per la compagnia. Il posto in Alitalia quindi era chiaramente rischioso e pericoloso, situazione che dovrebbe indurre a ben altro atteggiamento nei confronti dell'ultima, insperata possibilità di far sopravvivere la compagnia di bandiera. È preferibile quindi pensare che l'irresponsabilità che stanno dimostrando le organizzazioni sindacali dei dipendenti Alitalia sia dovuta ad una grossolana sottovalutazione del pericolo causata da una lunga abitudine ai miracoli, in questo caso si chiamerebbe «delirio di onnipotenza» e tutto sommato con un'opportuna terapia si può curare.

In caso contrario, vale a dire se consapevolmente i rappresentanti dei dipendenti stanno attuando una tattica suicida incuranti delle conseguenze, ci troveremmo di fronte ad un altro fenomeno che ai piloti dovrebbe essere noto, è un termine giapponese che significava «vento divino», meglio conosciuto come «kamikaze», e per questo non esiste né cura né rimedio. Dopo lo schianto, il nulla.

posta@claudioborghi.com

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