Alitalia, tregua fra Milano e Roma

Monta l’opposizione ad Air France, che come alleato «non sarebbe il migliore»

Paolo Stefanato

da Milano

Ieri nuovamente, mentre l’Alitalia perdeva il suo bel milione di euro quotidiano, i politici hanno continuato a discutere sul destino della compagnia. La notizia che fa più effetto è la concordanza d’intenti raggiunta a Roma tra il presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni, il suo omologo del Lazio, Piero Mazzarro, e il sindaco della Capitale, Walter Veltroni. È stato trionfalmente comunicato che si è creata un asse Milano-Roma, che le due aree (e i due aeroporti) non sono concorrenti e che lo sviluppo dell’Alitalia avverrà su entrambi i poli. Solo pochi giorni fa Formigoni minacciava la creazione di una nuova compagnia al Nord, nel caso in cui l’Alitalia abbandonasse Malpensa. Anche sulle alleanze c’è stata concordanza. Air France non piace né a Formigoni né a Veltroni. Tutti i politici (ieri si sono esercitati nuovamente sul tema il ministro dei Trasporti Bianchi, quello del Tesoro Padoa Schioppa, quello delle Infrastrutture Di Pietro, il segretario dei Ds, Fassino) vanno ripetendo che l’Italia «ha diritto a una sua grande compagnia». Ma dimenticano che l’Alitalia è stata affossata, con varie graduazioni di responsabilità, proprio da loro: i politici. È avvilente constatare come il dibattito di questi giorni sia vecchio di almeno dieci anni, e vada ripetendo in maniera stucchevole le stesse cose dette e ridette all’apertura di Malpensa, nel 1998. Ieri Formigoni e Marrazzo hanno convenuto che «questo è il momento di chiedere all’Alitalia di aumentare la sua capacità di voli dai due scali». Dimenticando che l’Alitalia non ha flotta sufficiente. Dal punto di vista strettamente industriale, il dualismo Milano-Roma non esiste, è un non-problema, perché i due aeroporti sono profondamente diversi (70% di passeggeri stranieri a Roma, 70% di italiani a Milano), con Fiumicino condannato a forti contrasti di stagionalità: straripa l’estate e si svuota d’inverno. Una compagnia nazionale non può prescindere da entrambi.
Sulle alleanze, a parte la resistenza verso Air France, negli ultimi giorni non si assiste a nessun volo di fantasia. Per un fatto molto semplice: sarà difficile che l’Alitalia possa trovare un alleato internazionale, se non quando avrà qualcosa da offrire. Gli stessi politici che a parole sostengono così strenuamente il risanamento dell’Alitalia, dove sono quando si parla dei tagli agli organici necessari? (Cimoli, nell’ultima fase, ne avrebbe individuati 1.500, prontamente ritirati alle prime turbolenze sindacali).

Qualcuno s’immagina un’Air France, o una Lufthansa arrivare a Roma e tagliare, di botto, voli aerei e soprattutto dipendenti? Con quale ritorno d’immagine e d’investimento?
Veltroni, contrario a Air France (che tuttavia, ad oggi, è l’unico vero appiglio realistico per il futuro), ha detto che «in Italia ci sono forze ed energie sufficienti per un rilancio dell’Alitalia»; Formigoni gli ha fatto eco: «È una sfida che riguarda il destino del Paese. Ci sia un patto tra tutte le categorie per il rilancio di Alitalia». Ma quanti imprenditori amano il rischio, in Italia? E quanti lavoratori sarebbero pronti ad immolarsi per amor di Patria?

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