Francesca Amé
Ebbe due amori, molti lutti e una vita iniziata nella semplicità calvinista, condotta nell'agio e conclusa tra i debiti. Harmenszoon van Rijn Rembrandt fu uomo di pervicace ingegno e grandi tribolazioni. Amava il chiaro-scuro di Caravaggio e, da buon fiammingo, apprezzava la cura dei dettagli. Fu grande negli autoritratti e nei ritratti, grandissimo nella tecnica. Nel quarto centenario della nascita del pittore olandese, Milano confeziona un omaggio raffinato: la cornice è quella, dotta, della Pinacoteca Ambrosiana che ha aperto, in collaborazione con il Consolato Generale Olandese, la mostra Rembrandt a Milano (fino al 3 settembre, da martedì a domenica, dalle 10 alle 17.30). Due sale, sette teche e trentadue preziose incisioni compongono questa esposizione, frutto - spiega monsignor Gianfranco Ravasi, prefetto dell'Ambrosiana - «di un vaglio accurato dei materiali conservati nei fondi».
Quattro secoli fa, proprio mentre Rembrandt nasceva a Leida e cominciava a studiare la luce sulla tela, il cardinal Federico Borromeo progettava la Biblioteca Ambrosiana. Qui, in quello che divenne presto un polo culturale d'eccellenza della città, convogliarono numerose collezioni, anche appartenenti a quell'arte meno conosciuta che era l'incisione. Curata da Paolo Bellini, Marco Navoni e Alessia Alberti, la mostra è un breve ma intenso itinerario nel mondo di Rembrandt: si comincia con gli autoritratti in cui il pittore si ritrae ora con il berretto di velluto ora con la sciarpa. Subito si apre l'universo intimo dell'artista: un tratto breve, veloce, attento ai dettagli cerca di catturare la madre assorta (ne La madre di Rembrandt seduta a un tavolo) che all'inizio della sua carriera posava per lui come modella. A due anni dal matrimonio con l'amatissima e minuta Saskia, nel 1636, il pittore realizzò l'unica incisione che li ritrae insieme: i due volti, quello di Rembrandt in primo piano, quello della donna sullo sfondo, come conveniva alle gerarchia dei ritratti di coppia, svelano un universo familiare sereno e accogliente.
Dai legami di sangue si passa alla quotidianità: la puntasecca di Rembrandt realizza deliziose acqueforti che oggi ci sembrano utilissime fotografie dell'epoca. In mostra un mugnaio, un farmacista, un orefice, un maestro di scuola con gli alunni, i suonatori ambulanti e anche Jan Asselyn, pittore olandese piuttosto in vista a quel tempo. Immancabili le scene bibliche, tratte dal Vecchio e dal Nuovo Testamento: «Come accadeva a tutta la cultura europea - scrive monsignor Ravasi nell'introduzione al catalogo (Luni editrice) - è il grande codice della Bibbia a costituire l'arsenale di immagini, di storie, di simboli a cui attingere».
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