All’onorevole Pisicchio che (simpaticamente) si lagna del nostro Facci

Caro Direttore,
ho appreso (con qualche disappunto, lo confesso) dalle pagine del suo giornale, la notizia di una mia improvvisa e rovinosa caduta nella considerazione dell'opinionista Filippo Facci, cui evidentemente tengo assai. La cosa è resa evidente dal fatto che, nel giro di qualche settimana, sono passato da "raffinato intellettuale" (il Giornale del 20 marzo) a "presunto intellettuale dipietrista" (il Giornale del 18 aprile). Qual è, dunque, la causa della mia veloce regressione? Forse che nell'ambito della mia bibliografia Facci abbia trovato ragioni di dissenso, chessò, relative alla teoria della forma-partito e all'influenza dei sistemi elettorali sui sistemi politici? Forse che non abbia condiviso le mie riflessioni sul diritto al ben-essere nelle costituzioni post-rivoluzione francese? O forse la sua “dissenting opinion” colpisce il mio libro sull'Italia dei Valori, in cui viene svolta un'analisi né agiografica né militante, ma solo politologica sulla base di consenso del partito che piaccia o no, ha continuato, almeno fino al 2008, a raccogliere quote importanti di voto nell'area della piccola borghesia portatrice di una visione del mondo moderata e certamente non rivoluzionaria? Perché si può anche “programmaticamente” dissentire da Di Pietro e dalle posizioni del suo partito (e Filippo Facci, in verità, ha al suo attivo una cospicua carriera di “Di Pietro watching”, a partire dalla insuperata ”biografia non autorizzata”, Mondadori, 1997), ma non si può negare la realtà dei fatti: non lo hanno votato solo gli “antagonisti”, ma anche una parte del popolo moderato che lo riconosce come irriducibile oppositore di Berlusconi. Dunque, sono preoccupato. Anzi, da vecchio moroteo dirò: sono in ambasce. Questa dolorosa svolta nella considerazione faccesca mi sta togliendo il sonno. Un sonno “presunto”, si capisce.

Caro onorevole Pisicchio, non sia in ambasce. Da vecchio moroteo riposi pure in pace. Il sonno, presunto o no, si perde per cose più serie, anche se siamo sicuri che le sue riflessioni sul diritto al ben-essere nelle costituzioni post rivoluzioni francesi sono serissime, e sicuramente affascinanti. Se non andiamo errati venendo qui in redazione abbiamo visto una piccola folla sul tram che stava cercando di strapparsi di mano il suo prezioso scritto. Sulla «dissenting opinion», poi, non ho molto da dire, se non che da vecchio moroteo, forse, sarebbe meglio usare «opinione dissenziente» (capisco l’esigenza di mostrarsi gggiovane, ma scegliere il linguaggio da manager della Lehman Brothers, di questi tempi, non sembra la strada migliore...: si tenga strette, piuttosto, da vero dc, le sue convergenze parallele). Una cosa seria sulla sua divertente lettera, però, voglio dirla. È questa: non sono convinto che gli elettori di Di Pietro siano moderati: se sono moderati, non hanno capito. Io credo al contrario che Di Pietro abbia raccolto il voto dello scontento, del mal di pancia un po’ estremista, degli sfasciatutto delusi dal brodino insipido del Pd. Ma sa, io non sono mai stato moroteo, e sono un po’ zoppicante anche sul diritto al ben-essere... Facci? Magari le risponderà direttamente lui. Io qui mi limito a dire che, come tutti sanno, lui è un battitore molto libero e quindi può scrivere (più o meno) quello che vuole.

Non sono solito sindacare sul suo grado di considerazione, foss’anche altalenante, dei personaggi di cui si occupa né della definizione che dà di loro. Altrimenti, col cavolo, caro Pisicchio, che gli permettevo di definirla addirittura «intellettuale».

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