All’Onu si discute (inutilmente) e in Siria si muore

Stallo alle Nazioni Unite, sangue nelle strade della Siria. È stata una giornata tristemente interlocutoria quella di ieri. La Russia non si è spostata di un millimetro dalla sua posizione contraria a una risoluzione del Consiglio di Sicurezza che chieda al dittatore Bashar el-Assad, massacratore del suo stesso popolo, di lasciare il potere. Forte del suo diritto di veto, Mosca è pronta a bloccarla in qualsiasi momento il fronte composto da Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e altri Paesi tenti di proporla. Questo perché la Siria è un alleato strategico dei russi, ospite fin dai tempi dell’Urss di installazioni militari (tra cui l’unica base navale a disposizione del Cremlino nel Mediterraneo) e sbocco di un ricco mercato di armi. Rinunciare a tutto questo è escluso e l’ambasciatore russo all’Onu Vitaly Ciurkin si comporterà di conseguenza, anche se preferisce argomentare diversamente: la Russia «non vuole un aggravamento del conflitto», «non lavora per far cadere governi stranieri», «si oppone all’uso della forza» e a sanzioni contro Damasco. Veto sicuro, dunque, a meno che non si arrivi attraverso il negoziato a un testo che sia «accettabile per tutte le parti»: campa cavallo. Intanto, in Siria la forza viene usata lo stesso: lo fa il governo, anche se ufficialmente per reagire agli attacchi al potere costituito. Solo ieri, un bilancio parziale stilato dagli oppositori parla di 60 morti in scontri armati e violenze dell’esercito sui civili, quasi la metà dei quali nell’area della capitale Damasco.

E oggi si preannuncia una giornata drammatica: cade infatti il trentesimo anniversario del massacro ordinato da Hafez el-Assad, padre e predecessore dell’attuale raìs, nella città ribelle di Hama. Gli oppositori saranno in piazza più che mai agguerriti ed è facile prevedere la risposta del regime.

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