Ieri l’agenzia di rating Moody’s ha messo sotto osservazione il «rating» di 16 banche italiane, dopo aver fatto altrettanto per lo Stato italiano. Cerchiamo di tradurre. Le principali banche italiane rischiano nei prossimi mesi di vedersi ridotto il loro voto in pagella da 8 a 7. Sempre sopra la sufficienza, ma con qualche compito in più da fare questa estate. Il motivo per il quale i sapientoni hanno deciso di muoversi in questo modo è presto detto. Quando una banca, o uno Stato, ha un brutto voto in pagella sono guai. Gli investitori internazionali si fanno pagare più cari i loro prestiti.
L’Italia deve raccogliere ogni anno 330 miliardi di euro per ripagarsi i Bot in scadenza: dunque anche una piccola variazione all’insù dei tassi di interesse comporta un aumento della spesa pubblica. Discorso identico vale per le banche. Se il loro voto passa a 7, dovranno pagare più caro il denaro, che è la loro materia prima. La banche prendono a prestito quattrini e li rivendono con un guadagno. Se il costo del prestito aumenta, di pari passo deve aumentare il prezzo a cui vendere la loro merce, e cioè il denaro. È chiaro a tutti che siamo in un pasticcio.
Se le imprese dovessero, in questa fase, vedersi aumentati i tassi di interesse che pagano sui loro prestiti alle banche, si troverebbero in una difficoltà superiore a quella che già hanno oggi nel fare utili. Le imprese italiane che si devono servire di infrastrutture carenti, pagare tasse più alte dei loro concorrenti e trattare con un burocrazia lenta, si potrebbero trovare nella spiacevole condizione di pagare il credito più di quanto si faccia in Europa. È come correre una gara di velocità su una gamba sola.
Ecco perché la minaccia di ridurre il voto in pagella alle banche italiane può avere un effetto a catena su tutto il nostro sistema economico. Non è detto che ciò avvenga: la pagella è sotto osservazione e non è ancora stata peggiorata.
Non siamo tra coloro che pensano ci sia un complotto contro l’Italia. Ma possiamo ben dire che le agenzie di rating hanno dato nel passato una favolosa dimostrazione di miopia. Le banche italiane hanno retto la crisi finanziaria alla grande, mentre le stellate anglosassoni fallivano, senza che alcuna agenzia di rating se ne accorgesse per tempo. E anche oggi la situazione potrebbe ripetersi. Dei 150 miliardi di euro (il 10 per cento del Pil italiano, circa) che lo Stato greco ha di debito con le istituzioni finanziarie europee, si calcola che circa la metà sia in mano a banche francesi e tedesche.
Ci spieghiamo meglio. Se la Grecia dovesse saltare, cosa ancora possibile e incorporato nel prezzo a cui oggi vengono venduti i suoi titoli pubblici, i primi a soffrire sarebbero i banchieri francesi e tedeschi. Ecco i numeri. Le banche italiane sono creditrici di Atene per circa 3 miliardi di euro: peanuts, direbbero in un film su Wall Street. Quelle francesi e tedesche per circa 70 miliardi.
Purtroppo la ragionevolezza non sempre guida la finanza. E la pagella di un’agenzia per il mercato vale più del buon senso comune di cui spesso si ha paura.
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