Pechino - Lo dicono con il sorriso, per cui non t’accorgi che il concetto espresso è restrittivo nei contenuti e pure nei fatti. «Volete seguire il percorso della torcia olimpica, volete seguirla sull’Everest? Potrete, non tutti s’intende, solo in pochi, perché bisogna essere molto preparati fisicamente, bisogna passare molte visite mediche per andare da quelle parti». In pratica dei supermen. Questo il concetto espresso da mister Sun Weijia, capo comunicazione del comitato organizzatore di Pechino 2008, ai giornalisti che gli chiedevano come diavolo coprire un servizio unico come il percorso della torcia sull’Everest, Tibet, zona calda, zona imbarazzante per questa Cina olimpica che si apre al mondo. Prendere ad esempio google, internet, e mettere la parola magica T-i-b-e-t per scoprire che se si digita dalla Cina, Google s’impianta. Un calcio in faccia alla libertà di informazione.
Eppure, è con il sorriso che mister Sun Weijia racconta della grande concessione olimpica: i giornalisti stranieri potranno girare per il Paese e intervistare senza chiedere permessi. Libertà a tempo determinato, «dal 1° gennaio 2007 al 1° ottobre 2008, giorno di chiusura delle paraolimpiadi... volete sapere se l’apertura ai media resterà anche dopo? Per questo dovete chiedere al primo ministro, non a noi», ribatte scocciato.
Ed è con un sorriso che mister Weijia si guarda bene dall’illustrare agli oltre trecento giornalisti piombati da ogni dove per il secondo World Press briefing pre olimpico, quel codicillo messo in fondo, tanto in fondo nel librone verde del convegno. Codicillo che all’inizio dice: è vietato introdurre nel Paese materiale esplosivo e radioattivo, e fin qui niente da dire, ma anche e soprattutto «opuscoli e materiali utilizzati per qualsiasi attività o dimostrazione religiosa e politica». È la prima volta che in un’Olimpiade - fanno notare anche al Coni - si va a toccare così apertamente la libertà di professare il proprio credo. L’aggravante è che il codicillo in questione riguarda specificatamente tutti gli accreditati: per cui atleti in primis, dirigenti delle nazionali e giornalisti.
Per rendere ancora meglio il concetto, basti pensare alla ormai ventennale tradizione della squadra azzurra ai Giochi. Da Seul 1988, al seguito della delegazione c’è sempre il rassicurante e sorridente don Carlo Mazza, fra l’altro di recente diventato Vescovo di Fidenza. Da vent’anni, don Mazza arriva ai Giochi allo scoccare del primo giorno e passa la dogana con le valigie piene di tutto l’occorrente per celebrare messa. Alla luce del codicillo posto dai cinesi, come verranno considerati questi oggetti sacri? Materiale utilizzato per attività religiosa? O per che cosa?
Mentre il Coni è già al lavoro per capire come sbrogliare la potenziale e incandescente matassa, tornano alla mente le ultime due olimpiadi di don Mazza. Ad Atene celebrò sei messe, in gran parte dentro l’appartamento di alcuni calciatori. Nei giorni di vigilia distribuiva gli opuscoli preparati in Italia con le letture scelte. Stesso discorso a Torino 2006 ma con una vistosa variante che qui a Pechino non gli darebbe scampo: durante le Olimpiadi invernali, don Mazza celebrò messa in un atrio del villaggio, cioè in zona pubblica. Qui sarebbe reato. E dire che, nei rapporti tra il Vaticano e le autorità cinesi (i cattolici in Cina sono 13 milioni), si era avuto di recente un forte segno di distensione, l’8 settembre scorso, dopo che il Papa aveva dato il proprio benestare - indicando il candidato «degno e idoneo» - all’ordinazione del nuovo vescovo della capitale cinese, Giuseppe Li Shan. Uomo, va detto, scelto dall’Associazione patriottica cattolica, emanazione del governo.
A preoccupare i padroni di casa non sono, però, cristiani e cattolici, bensì eventuali dimostranti fra i buddisti tibetani, i musulmani della minoranza uighuri e la setta religiosa del Falun Gong, messa fuorilegge in Cina. Ma tant’è: adesso toccherà al Cio imporre un dietrofront sul tema. Con il sorriso, s’intende.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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