Alle Regionali Bersani è già all’ultima spiaggia

RomaA due mesi dalle Regionali, il segretario del Pd Bersani si trova davanti un percorso minato, al termine del quale può esserci un atterraggio morbido, oppure un baratro.
Lui ha vinto il congresso da pochi mesi, ma il Pd è rimasto quello di prima. E come per tutti i leader che si sono rapidamente susseguiti alla sua guida, anche per Bersani la luna di miele è durata un attimo, e la guerriglia interna è ricominciata. Trovando nelle Regionali un fertile terreno di scontro. Così, in Puglia un pezzo di partito si schiera pro Vendola e contro Boccia; nel Lazio si cerca di boicottare l’operazione Bonino; in Umbria spunta il candidato anti-dalemiano; in Campania è guerra per bande tra Bassolino e De Luca. La minoranza di Veltroni e Franceschini non condivide l’idea di alleanza «strategica» con l’Udc, né l’obiettivo di una legge elettorale «tedesca» che cancellerebbe il bipolarismo e riaprirebbe la stagione delle alleanze in Parlamento, e tanto meno sopporta che a dettare la linea nel partito siano i dalemiani. Se le Regionali andassero male, si creerebbero le condizioni per indebolire il segretario e condizionare la sua linea, o addirittura rovesciare entrambi, pensa la fronda interna. Ammesso che il partito sopravviva, naturalmente.
Fuori dal Pd, tra gli alleati, non è che le cose vadano molto meglio. Il tentativo di agganciare stabilmente l’Udc comporta come conseguenza inevitabile la rottura delle alleanze con la sinistra: il caso di Nichi Vendola, sacrificato in Puglia sull’altare di Casini, è esemplare. E ha l’alto prezzo, secondo i critici interni di Bersani e D’Alema, di concedere al leader centrista il diritto di veto sui candidati del Pd.
Con Antonio Di Pietro i rapporti sono ormai ai minimi termini e non sono certo destinati a migliorare. L’ex pm, che i sondaggi non danno in ripresa, deve continuare a cercare visibilità polemizzando col Pd, ma alle Regionali dovrà comunque fare accordi per non perdere posti nelle giunte. Alle prossime Politiche, però, il Pd di Bersani vuol trovare il modo di liberarsi dell’alleanza voluta da Veltroni e rivelatasi un boomerang.
Nel frattempo, si è aperto il caso Radicali. Per il segretario del Pd la scelta nel Lazio è irta di difficoltà. Non a caso un dalemiano laziale ieri ringhiava: «La candidatura della Bonino è una trappola preparata da Goffredo Bettini contro Bersani». In verità, Bettini si era limitato a proporre il nome della Bonino due mesi fa, e i Radicali han fatto tutto da soli. Mettendo il Pd con le spalle al muro. Non può dire di no, perché non ha nomi da contrapporre a Bonino e sa che la sua è l’unica candidatura competitiva possibile. Ma il partito locale è in subbuglio: il timore principale non è certo la dissidenza cattolica, che in realtà non c’è: gli ex Ppi, Marini in testa, sono totalmente a favore. È che la candidata governatrice faccia spostare voti in massa dalla lista Pd alla Lista Bonino-Pannella, e che l’accettazione da parte del Pd sembri una resa. Il Pd laziale reclama che la leader radicale si sottoponga alle primarie per «legittimarla». Anche se primarie dell’ultim’ora e senza concorrenti reali sarebbero più una farsa che altro, e la Bonino ha già tagliato corto: «Ma che primarie, le elezioni sono domani, non l’anno prossimo», ha ricordato ai suoi riluttanti sostenitori. Mentre Pannella ha spiegato crudo: «La sua candidatura riguarda la lista Bonino-Pannella, è il Pd che deve convergere e appoggiarla».

Altrimenti, lei andrà avanti da sola comunque. Tocca al Pd decidere, ma Bersani - che vedrà la Bonino «nei prossimi giorni» - deve ancora capire come evitare di essere tirato in una trattativa senza fine dai Radicali sui posti in lista in tutta Italia.

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