Alle urne col braccino

Premio «Braccino corto» a Rosy Bindi: giunta nel suo seggio di Sinalunga, si muove esattamente come certi simpatici colleghi d'ufficio. Oddio, il portafoglio. Anche lei, la stessa recita da bar aziendale: sono uscita di corsa, scusa, non è che puoi fare tu, però sia chiaro che la prossima volta tocca a me. Nel suo caso, è il fedele collaboratore a mettersi una mano sul cuore. Però che sforzo: zia Rosy gli chiede due euro. Da un punto di vista statistico, è pur sempre il cento per cento in più del versamento richiesto per il voto (un euro a capoccia). Da un punto di vista sostanziale, resta una miseria. La madre di tutte le zitelle prova a uscirne con il commento ironico, ricordando come sia da sempre contraria alla tassa sul voto: «Con questo contributo, ho avuto problemi sin dall'inizio...». Opinioni. Ma è chiaro come il suo futuro resti segnato: nella sinistra che verrà, per lei solo posti da ministro senza portafoglio.
Certo si può pure sospettare che tra gli avversari di Veltroni circoli uno strano virus. Enrico Letta: stessi sintomi. La memoria in avaria, grandi toccamenti in giro per le tasche, aria vagamente sgomenta. Racconta il presidente di seggio, a San Giuliano Terme, nel Pisano: «Ho avuto l'impressione che cercasse il portafoglio». Come la Bindi: niente portafoglio. Stranamente dimenticato. Letta se la cava rivoltando le tasche: ne esce un biglietto da venti e una moneta da uno. Ventuno euro, tutto quello che ha. Qualcuno vede strisciare fuori dalle tasche anche i serpenti.
Guarda invece Veltroni: tutto un altro stile. Poi magari ci si chiede perché piaccia tanto alla gente che piace: il fatto è che tra signori ci si fiuta al volo. Per dare un senso concreto alla storica giornata, prima di presentarsi alle urne passa dal Bancomat. Il suo contributo alla causa è qualcosa di memorabile: cento euro. Non ci sono parole adeguate, non bastano gli aggettivi per raccontare la sua giornata. Dev'essere per questo che le agenzie di stampa non esitano a riesumare sui due piedi il registro narrativo del glorioso Istituto Luce, quando c'era lui: «Il segretario in pectore si cambia d'abito nella casa di via Velletri, dopo che questa mattina ha celebrato un matrimonio in Campidoglio. Poi esce dal portone vestito casual (Veltroni, non il portone, ndr), con un cardigan scuro, niente cravatta e pantaloni di velluto. Al suo fianco, la moglie Flavia, camicia di lino bianca e pantaloni neri, e le due figlie, entrambe in jeans. La più grande, Martina, 20 anni, acqua e sapone, l'altra, Vittoria, 17 anni, con gli occhi leggermente truccati. Un prelievo al Bancomat e poi tutti insieme a piazza Fiume, "per coronare il sogno di tutta una vita politica", come spiegherà più tardi il sindaco. Al seggio c'è molta fila. Martina e Vittoria si tengono strette per mano fino al momento del voto e anche dopo. La madre Flavia le protegge dai flash. Veltroni deposita la propria scheda intorno alle 11,30. La moglie si dice "emozionata", però "contenta che ci siano le figlie". Per votare, Veltroni fa la fila come tutti gli altri elettori...».
Hanno voglia di dire che queste primarie sono superflue e scontate. Tra la bella gente del nuovo partito, resterà il fulgido ricordo di un'indimenticabile scampagnata. In giro per l'Italia, è tutto un tripudio di quadretti domestici del genere simpatia familiare. Anche Massimo Moratti si sciroppa la sua mezz'ora di coda per votare la moglie Milly, in quota Veltroni. Nell'attesa, concede ai cronisti alcuni concetti politici molto ficcanti. Primo: «Si tratta di una iniziativa importante, in risposta a una domanda crescente nella società civile, che chiede un cambiamento del rapporto tra politica e cittadini». Secondo: «Contro la Scozia sarà una partita molto difficile, perché la nostra nazionale avrà di fronte una squadra molto concreta». Terzo: «Spero che Ronaldo torni presto».
Prodi e la signora Flavia sono sempre loro, i coniugi premier tanto uguali a noi tutti. Forse tra di noi ce ne sono anche di più pronti, a giudicare da come votano loro due. Ma non è il caso di farla troppo lunga. Succede soltanto che dopo una decina di minuti in coda al seggio 45 del Centro civico del Baraccano, a Bologna, si accorgono di avere sbagliato seggio. Il loro non è il 45, ma il 46. L'errore - si affretta a spiegare la scorta - dipende dal fatto che alle primarie di due anni fa c'era un solo seggio per il quartiere, mentre quest'anno ce ne sono tre. Niente di grave, comunque: Romanone non ci ha mai preso, con i numeri. Verificato l'errore, lui e signora si spostano al seggio giusto. E di nuovo rispettano la fila. Come i Veltroni. Come la Bindi, come Letta. E come i D'Alema a Bari, i Marrazzo a Cassino, i De Benedetti a Torino, secondo le scrupolose testimonianze in arrivo da tutta Italia.
Alle volte, le sorprese. Riguardandola bene, la grande scampagnata democratica resterà nella memoria non tanto per la suspense dei risultati, ma per l'enfasi riservata al rispetto delle code.

Vai a sapere: in un luogo normale, rispettare le code non sarebbe una notizia. E comunque, piano con l'entusiasmo. Questa è solo una sgambata, per i principi del nuovo partito: niente di paragonabile alla fila che li aspetta adesso, nel momento di spartirsi le poltrone.
Cristiano Gatti

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