Alessandro Massobrio
Il lungo sfogo di Sara Ciampi somiglia molto ai racconti che gli esuli in fuga da certe estreme province dell'impero doveva fare a coloro nei quali si imbattevano. Ricordi di incendi, devastazioni, assedi, violenze subite oppure appena schivate, lutti e disperazione e poi soprattutto la barbarie allo stato puro, vale a dire il puro gusto di distruggere, infrangere, spezzare quanto secoli di tradizione avevano faticosamente creato.
Questa è la prima impressione che coglie chi legge queste pagine. Ve ne è poi un'altra, ancora più pericolosa. Ed è la stessa sensazione che doveva pervadere la mente di coloro che ascoltavano quegli antichi racconti. Intendo la tendenza a non dar pienamente credito a quanto si sente raccontare. Una sorta di scetticismo che nasce dall'enormità stessa dei fatti evocati.
È contro questa seconda sensazione che questa poetessa trentenne, che ha già alla proprie spalle prestigiosi riconoscimenti tributatele dalla critica nazionale ed internazionale, più insorge. Ella teme che il suo grido di allarme sia se non frainteso, ridimensionato, che, alle prossima tornata elettorale, gli italiani concedano la propria fiducia allo schieramento che conta nelle proprie fila anche quei barbari sulle cui violenze tanto si è soffermata con il suo sbigottimento.
Fuori di metafora, Sara Ciampi è stata testimone oculare degli avvenimenti che si sono svolti nella nostra città nel luglio del 2001, quando bande di black bloc, disobbedienti, no global, scese da ogni parte d'Italia e provenienti anche dall'estero, hanno segnato indelebilmente la memoria dei genovesi.
Quei giorni sono rievocati dalla fantasia di questa giovane scrittrice con ritmi che ricordano il martellante rullare dei tamburi alla vigilia di qualche cruenta festa pagana. Prima, il giorno 19, innocue sfilate di antimondialisti, probabilmente poste in essere per rassicurare gli abitanti sulle autentiche intenzioni dei nuovi barbari. Poi, il 20 e il 21, quello che la Ciampi definisce «l'inferno». Infine, nei giorni seguenti, il lento quanto faticoso risvegliarsi della comunità cittadina, incredula a prestar fede a quanto i suoi stessi occhi le imponevano di credere.
C'è un termine di paragone che ricorre costantemente in queste pagine ed è un evento accaduto molti decenni or sono in Germania. Mi riferisco a quella «notte dei cristalli», verificatasi tra il 9 ed il 10 novembre 1938, che fu una sorta di prova generale di quella violenza antisemitica di cui poi i nazisti avrebbero dato ampia dimostrazione. Decine di abitazioni devastate, negozi dati alle fiamme, aggressioni di indifesi cittadini la cui unica colpa consisteva - allora come oggi - nel professare una ideologia ed una fede religiosa diversa da quella dominante.
Non a caso si è fatto accenno alla fede. Oggi che la saldatura tra estremismo insurrezionalistico e terrorismo islamico è ormai un fatto assodato, ecco che le considerazioni della Ciampi assumono quasi un tono profetico. Così come profetico - ma di un profetismo minaccioso, come quello dei messaggeri che il Dio biblico inviava ad ammonire il suo popolo sui possibili castighi che lo avrebbero atteso, persistendo nella volontà di disobbedire ai suoi decreti - appare il desolato sguardo che ella volge al futuro.
Se il governo di centro - destra cadrà nelle prossime elezioni politiche, le sorti del nostro paese saranno affidate a coloro che, pur di vincere, non temono, come essi stessi hanno affermato, di voler raschiare il fondo del barile. Vale a dire di portare con sé al potere quelle forze della dissoluzione e della barbarie che a Genova hanno già dato dimostrazione di quanto possa il loro antico odio contro la civiltà.
Inutile sperare che lo sguardo della sentinella sia stato fascinato da un miraggio.
Sara Ciampi, I giorni dei cristalli, Pagine, Roma 2006, pag. 123, euro 10,00.