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Alleati di Tony o di Diliberto

Alleati di Tony o di Diliberto

Il dibattito italiano sull'Afghanistan è condizionato dal dilemma fra il restare e il ritirarsi. È il risultato della fragilità della maggioranza dell'Unione. Se il governo, per reggere, ha bisogno dell'assenso convinto dei suoi estremisti, ecco che Massimo D'Alema gioca la carta di un'inesistente «conferenza di pace», ecco che nel dibattito sul rifinanziamento delle missioni all'estero viene esorcizzato il grande problema di un maggiore impegno sul terreno. Ecco che l'angoscia per la vita di Daniele Mastrogiacomo, anziché diventare occasione di unità di fronte al terrorismo, si traduce nel cinico automatismo della richiesta di andarsene.
Ecco che le uniche alleanze a cui si pensa sono quelle necessarie alla sopravvivenza dell'esecutivo. Gli altri alleati, quelli con cui condividiamo una missione per allargare gli spazi di libertà nel mondo e per fronteggiare il fondamentalismo, non contano. Meglio Diliberto di Tony Blair. Il premier britannico ieri ha lanciato un appello ai Paesi della Nato ad inviare altre truppe per fronteggiare in modo più efficace l'insorgenza talebana. Ha ricordato la sostanza della questione e ha annunciato che vorrà discuterne all'imminente vertice europeo. Che posizione assumerà Prodi? Spenderà un altro bonus, chiedendo comprensione per essere sostenuto da estremisti, o finalmente accetterà di discutere il tema all'ordine del giorno? Di quale «conferenza di pace» riuscirà a parlare? Potrà sostenere la tesi che Bin Laden, o chi per lui, è pronto a negoziare?
Il governo dell'Unione, a questo punto, appare davvero isolato. Non tanto dagli Stati Uniti, ma questa volta dai suoi stessi partners europei. Cerca riparo dietro la missione in Libano. Ma sul fronte più importante, l'afghano, quello che può segnare la credibilità dell'Onu, della Nato, dello stesso «multilateralismo», non può decidere, non può dare una risposta all'altezza della sfida. Non può dire pubblicamente di essere impegnato nella guerra all'insorgenza fondamentalista. L'Italia è governata da un'alleanza di centrosinistra piena di amici e di emuli di Tony Blair, che però preferiscono non ascoltarlo.
Il rischio è ormai quello di diventare la zavorra dell'Europa e della Nato. È questo destino che va contrastato nel passaggio parlamentare di questi giorni. Ha perfettamente ragione Roberto Maroni nel voler chiedere un maggior impegno in Afghanistan e anche un deciso contrasto al riarmo di Hezbollah in Libano. Finalmente. Cioè una discontinuità rispetto alla melassa neo-neutralista di Prodi e D'Alema.
L'opposizione, se vuole difendere la sua storia, ha l'occasione di mettere a nudo le ipocrisie dell'Unione. Ci sono dei valori a cui non si può rinunciare. Uno dei più importanti è l'impegno contro il fondamentalismo. Il decreto del governo sulle missioni all'estero non soddisfa questa esigenza. La linea di demarcazione è quella tracciata da Blair. Se ci fosse una sinistra britannica sarebbe possibile una politica estera bipartisan.

Con Prodi e D'Alema no.

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