Antonio Lodetti
da Milano
«Questestate ho suonato al festival di Loco Rotondo; ci aspettavamo 600 persone ma ne sono arrivare 2000. Alla fine tutti mi chiedevano lautografo, cera grande confusione ed è intervenuta la polizia per portarmi via. Un agente stupefatto mi ha detto: non la conosco ma le chiedo un autografo anchio; così ho firmato sul bollettario delle multe». Passa anche da episodi come questo il successo di culto (ma non solo) di Giovanni Allevi - quello che continueremo a definire lHarry Potter del pianoforte - arrivato al traguardo del nuovo cd, intitolato Joy, in uscita la settimana prossima. Una nuova raccolta di sonatine, che stavolta mescolano le radici classiche con la ricerca e un pizzico di jazz. «La musica in me esplode nei modi più strani - racconta Allevi -; io sono molto emotivo e, tornato dai concerti in Cina, mi ha colto un attacco di panico. Stavo malissimo, mi hanno caricato in ambulanza e, attraverso i vetri, vedevo la quotidianità. In quella situazione difficile nella mia testa ho sentito una musica dolcissima e ho iniziato a comporre Joy come inno alla straordinarietà dellattimo. Il pezzo Downtown ad esempio racconta quanto sia eroica la vita di tutti i giorni, fatta di piccoli drammi e piccole gioie quotidiane». Comporre nella sua testa per Allevi non è un modo di dire; lui non possiede un pianoforte, ha tutto nella testa e lo butta giù a memoria al momento di entrare in studio di registrazione. «Sono venuto a Milano per inseguire il mio sogno, abito in una casa piccolissima dove se entrasse un pianoforte uscirei io. Così ho imparato a scrivere musica nel mio cervello, che incamera i 36 mila micromovimenti delle dita che poi trasferisco sulla tastiera e nel disco. Comunque un pianoforte ce lho; quando mi sono esibito al Blue Note di New York, un ricco magnate americano mi ha regalato un magnifico gran coda, e siccome non saprei dove metterlo lo tiene a mia disposizione nella sua villa». Però, dopo aver inciso i dischi, scrive gli spartiti delle sue opere. «Sono state pubblicate 10 ristampe dello spartito del precedente No concept, che ha venduto 30 mila copie: per me è stato come vincere le Olimpiadi».
In Joy cè un ritorno alla musica classica. «Nellinconscio sono tornato ai miei idoli; nei brani Lelogio degli dei e Venti dEuropa mi ispiro al gusto melodico di Chopin; poi sento il colorismo di Rachmaninov e la pulsione ritmica di Bartók». Ma quindi come si evolve la musica di Allevi? «Credo che Joy sia il riassunto degli album precedenti. Cerco di seguire una nuova spiritualità artistica europea. Oggi per larte cè poco spazio, predomina la politica e leconomia. Ma ogni epoca è segnata soprattutto dallarte. Basti pensare nella pittura al Caravaggio o agli Impressionisti. Non mi definisco un pianista classico perché nel linguaggio corrente significa fare repertorio del passato, ma io esprimo la contemporaneità quindi faccio musica classica». Tra tante lodi del pubblico e della critica ci sarà pure qualche voce discorde. «Un critico che voleva parlar male di me, dicendo che sono lidolo colto che il pop contrappone allaccademia mi ha fatto il più bel complimento. Alcuni accademici quando mi ascoltano storcono il naso; altri invece mi seguono e mi incitano a continuare su questa strada. So che è una cosa da pazzi scrivere musica per piano quando ci sono stati prima giganti come Mozart o Liszt; è quasi come commettere un parricidio, ma io amo le sfide». E il successo non lha cambiato? «Mi piace stare nellanonimato. Ho tenuto i miei primi spettacoli dormendo sulle panchine davanti al teatro la notte prima dei concerti. Ora vivo di musica. Mi sento come un cavaliere romantico».
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