Tra almanacchi e calendari il futuro è tutto in milanese

Dalle ricorrenze dei santi e dei quarti di luna i «segnatempo» ambrosiani si sono via via arricchiti con illustrazioni, poesie e perfino, a metà Ottocento, con consigli d’igiene

Giorgio Caprotti

Con l'inizio di ogni Anno nuovo ecco cessare, come d'incanto, la caccia ai calendari. Come già appartenessero al passato ma anche perché ormai ne son provvisti tutti. Fa parte di quelle consuetudini poco indagate ma che sono pur vere. E i moderni calendari, con spazi per appunti di taccuino e divertenti suggerimenti casalinghi, completati anche con date di eventi, richiami di consuetudini agricole e ricette tradizionali sono lì, tesi, ben esposti e immobili ma con il tempo che vi scorre dentro come il sangue nelle vene. Un'osservazione che non poteva certo sfuggire al popolino sempre allertato dal solito spirito della sottile ironia da definire uno che se ne sta lì impalato, immobile come in catalessi come «Vun che sta lì drizz in pee come on calendari».
Quelli milanesi che esordirono sin dal 1700, quando la stampa divenne popolare anche per l'abbattimento dei prezzi, uscirono subito con i libretti annuali degli almanacchi, più che semplici calendari. Alle ricorrenze dei santi e ai quarti di luna vennero così aggiunte illustrazioni e storie dei nostri personaggi, invece delle solite testate con paesaggi, rassegne artistiche, fiori e cuccioli.
«El nòst Milan» ci è sempre stato a cuore, una volta poi era addirittura una città che si amava e che si rimpiangeva anche solo dopo pochi giorni di lontananza. Per questo i meneghini furono subito in prima linea con la loro scanzonata creatività. Ecco così presentarsi già nel 1726 (soppresso nel 1861) un prototipo di almanacco ma già ben impostato: «La luna in corso, con le notizie cronologico-storiche compilate dal dottor Vesta Verde». Ecco però che si viene a conoscenza di una chicca: il primo poetare in terza rima del giovane Carlo Porta si ebbe nelle edizioni del 1792 e 1793 di «El lava piatt del Meneghìn ch’è mòrt»!
Lì vi fu la scintilla del suo guizzo creativo così elevato, che desta profonda ammirazione ancora oggi, guizzo non certo privo di quella scanzonata sottile malizia propria dello spirito meneghino. Poi via via negli anni seguenti si scandirono «Il borgo degli Ortolani» (1794), «La gran tor de Babilonia» (1795), «El verzee de Milan» (1796), «La settimana grassa» (1797) e così di seguito in un divertente succedersi di edizioni di tale mole da riempire facilmente il cortile del Castello sforzesco, tanto che diviene praticamente impossibile citarli tutti.
Taluni almanacchi però toccarono vesti editoriali di tale rilievo - sia scientifico che storico e letterario - da essere divenuti rarità bibliografiche, come «Il nipote del Vesta Verde» strenna popolare che dal 1848 al 1859 fu compilata e diretta da Cesare Correnti, anche dal suo esilio sul lago Maggiore, o l’«Almanacco igienico» esordito nel 1866 ad opera del dottor Paolo Mantegazza in cui, nell'edizione del 1867 viene riportato persino uno studio microscopico della «polvere a pian terreno in piazza Duomo e a diverse altezze fino ai piedi della bella madonna»! L'«Almanacco del mondo umoristico», edito a Milano nel 1891 fu ricchissimo di incisioni ma erano splendidi, anche nel contenuto illustrativo, i volumi dell'«Almanacco della Famiglia Meneghina» dominante dal 1932 al 1980, compilato da firme illustri.
E in tutti è riportata la tradizione tutta milanese del rito della «Panera e panmèin de San Giòrg il 24 aprile», con l'uscita anche a comprare la prima formaggella dell'anno, memori di una vittoria contro i briganti del 1340 dove ora è la via Morivione.
Di notevole levatura letteraria l'esclusivo «Cal...

endari del Cenòbi di Avocatt Lombard» giunto al suo 75° anno e vitalissimo ma più largamente diffusi sono, dal 1975, gli almanacchi popolari della Libreria Milanese: «El milanés» e «El piscinin», lungo una spanna, imperanti sul mercato con fitti ricordi accattivanti simpatia.

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